Don Giovanni Momigli

Una anno da Via Mariti – Articolo su Toscana Oggi

A un anno dal tragico incidente al cantiere Esselunga di via Mariti a Firenze ci si ferma per ricordare. Ci si ferma per pregare. Ci si ferma anche per contestare un modello organizzativo perverso, che porta a comprimere tempi, costi e tutele sul lavoro. Un modello che non ammette soste e incentiva la lotta contro il tempo: correre per concludere al più presto; correre per risparmiare; correre per guadagnare.

Il tempo è risorsa unica e irripetibile che ci è stata affidata e del cui uso siamo responsabili. Il tempo è decisivo per maturare come persone, acquisire competenze, assumere decisioni strategiche, mettere in atto azioni positive per sé stessi e per gli altri. Fare della lotta contro il tempo un modello, ci porta a snaturarne il senso e può anche condurre a rubare la vita a chi lavora per vivere.

Dalle notizie che emergono sulle cause dell’incidente, una delle chiavi dell’intera vicenda sembra proprio essere la parola tempo: fretta, progetti non ben curati, lavori malfatti, mancanza di professionalità e di responsabilità. Assenza di etica. I campanelli di allarme pare non siano mancati, ma sembrano stati sottovalutati o volutamente trascurati in nome del tempo, della fretta eccessiva, per arrivare il più velocemente possibile alla conclusione dei lavori.

Spetta agli organi competenti fare piena luce sulle dinamiche e sulle diverse responsabilità che hanno portato al tragico incidente al cantiere Esselunga dove sono morte cinque persone. Come spetta agli organi competenti ricostruire le cause della tragedia al deposito Eni di Calenzano e alle tante – troppe!  – morti sul lavoro.

Tutti, però, siamo chiamati a non dimenticare. Soprattutto siamo chiamati a non assuefarci. Come ha detto l’Arcivescovo Gherardo Gambelli nell’omelia di fine anno: «Il modo migliore per ricordare le vittime e i feriti è quello di un impegno sempre più attento attraverso una mobilitazione delle coscienze e un’assunzione di responsabilità collettiva, perché siano garantite tutte le condizioni per un lavoro sicuro, nel rispetto della dignità delle persona».

Fare quanto è nelle nostre possibilità perché la dignità della persona sia rispettata nell’ambito del ciclo produttivo. Un’organizzazione del lavoro che comprime la dignità delle persone e ne compromette tragicamente la vita è intollerabile: «Il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso… per quanto sia una verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo”, e non l’uomo “per il lavoro”» (Laborem exercens, 6).

Sottolineando la centralità della persona, queste parole di Giovanni Paolo II ci sollecitano ad una visione alta e a farsi parte attiva per cambiare i criteri e i valori che presiedono e guidano un modello economico che vede la persona come un ingranaggio funzionale, anziché come il fine ultimo di ogni scelta e di ogni azione.

 

Articolo Toscana Oggi – L’Osservatore Toscano

Don Momigli

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