Solennità di Tutti i Santi (Ap 7,2-4.9-14 Sal 23 1Gv 3,1-3 Mt 5,1-12)
La solennità di tutti i santi ci offre l’occasione per rinnovare in noi la domanda su chi siamo e su quale sia il nostro orizzonte di vita.
Una domanda da porsi non come dubbio esistenziale, ma come continua crescita nella maturità e nella verità in Cristo.
La liturgia della Parola offre al cristiano la definizione della propria vita come figlio di Dio e indica nella Gerusalemme del cielo la direzione costante del suo cammino.
Figli di Dio, senza nessuno sforzo o merito umano: «fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2).
La figliolanza donata in Cristo ci rende partecipi della vita divina e non può essere vissuta nella staticità, ma in una relazione dinamica chiamata a diventare sempre più intima.
Celebrare la festa dei Santi ci fa vedere la specifica e differente bellezza di cui ciascuno di loro è portatore e ci aiuta a scoprire la nostra personale bellezza, il nostro personale carisma, la nostra personale chiamata.
La persona umana non trova la sua verità guardando il riflesso di sé stessa, ma contemplando il volto di Cristo: le beatitudini non ci presentano una sfida da superare per essere santi, ma dipingono il volto del Figlio di Dio in ogni sfaccettatura della vita umana nella sua autenticità.
Nella povertà dello spirito, nelle lacrime che segnano i volti, nella mitezza e purezza di cuore, nella ricerca della giustizia e della pace, in chi ostinatamente abbraccia il Vangelo, cresce nella somiglianza con Dio, si intravede e si gusta il mistero di Cristo che rende simili a lui orientando alla pienezza.
La santità, che è propria di Dio, cresce dentro la relazione col Padre in Cristo e nello Spirito: non è in alcun modo il premio per i più forti.
Essendo la santità propria di Dio, nasce il desiderio di essere come Lui. È un desiderio importante ma che può essere molto pericoloso: soprattutto perché, spesso, non abbiamo un’idea chiara di Dio e di che cosa significhi essere come Lui.
Le parole del Vangelo e la fede ci fanno scoprire una strada diversa, persino opposta: al nostro desiderio di essere come Lui, Dio ha risposto scegliendo di essere come noi.
A chi cerca la divinità e la santità divina, Dio risponde assumendo la nostra umanità, facendola sua, fino al punto di accettarne i suoi limiti, le sue fragilità, le sue debolezze, persino la sua mortalità.
La fede cristiana ci dice che Dio ha voluto farci vedere che la sua santità si può incarnare: può assumere il volto, le parole, i gesti, l’intera vicenda di Gesù Cristo, che nei vangeli, viene chiamato «il Santo», «il Santo di Dio» (cf. Gv 6,69; cf. Mc 1,24; At 3,14).
La vicenda di Gesù, nel quale pure la santità di Dio si è manifestata in modo unico, ci dice che la nostra umanità può accogliere la santità di Dio. Non attraverso i nostri sforzi per conquistarla, ma Dio stesso la dona.
Può anche nascere la domanda: come può Dio donare sé stesso, con la Sua santità, a una persona come me. Questo pensiero non è mosso dallo Spirito, ma dal diavolo, che vuole dividerci da Dio. Nessuno è degno: Dio stesso ci rende degni.
Il libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato come prima lettura, ci fa capire che il dono della santità non è dato ad alcuni pochi eletti, ma a «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua…tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”» (Ap 7,9-10).
Le Beatitudini sono proposta impegnativa di vita, ma nessuno è precluso. Per accogliere quello che è nelle nostre possibilità, basta non accontentarsi del minimo, basta non cercare quei sentieri ritenuti più comodi e appaganti nel sentire comune.
Le beatitudini ci propongono una visione alta della condizione umana e della vita, capace di trasfigurare la nostra umanità non per negarla, ma per darle piena dignità e compimento vero.