Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 9 gennaio 2022

Battesimo del Signore Anno C: Is 40,1-5.9-11   Sal 103   Tt 2,11-14;3,4-7   Lc 3,15-16.21-22

Come avvenuto al popolo di Israele, può accadere anche a noi, come persone e come comunità, di vivere la fatica dell’attesa e la paura dell’abbandono.

Quando l’attesa si prolunga, a un certo punto non si crede più che quello che si attende possa avvenire. Allora, abbiamo bisogno di qualcosa o qualcuno che ci aiuti a motivare la speranza o a rivedere il senso e il contenuto della nostra attesa.

Una parola credibile di speranza è necessaria quando ci troviamo ancora nel momento buio e non intravediamo la fine del tunnel. Ma è pure necessaria quando intravediamo la luce e ci sentiamo smarriti, senza sapere da dove ricominciare e in che direzione andare.

Per il popolo di Israele, dopo tanto tempo di esilio, è difficile credere che un nuovo inizio sia davvero possibile e che sia possibile trovare le forze per una rinascita.

Il popolo, tornando nella propria terra, si trova davanti solo macerie. E davanti alle macerie ci si può avvilire e bloccarsi o si può reagire, mettendosi a ricostruire. Occorre però una parola più specifica, che faccia capire che quello presente è davvero il momento della rinascita.

Il brano di Isaia, che abbiamo ascoltato come prima lettura, ha proprio il compito di rimettere in movimento il popolo, confermando la sua attesa e alimentando la sua speranza.

Le prime parole di questo brano, però, Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1), possono non essere sufficiente, quando i dubbi, la fatica e lo scoraggiamento ci invadono e ci deprimono. E allora ecco la motivazione: «Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». (Is 40,2)

Con questa visione di speranza, certo della presenza del Signore e che la sua promessa si sarebbe realizzata, il popolo riprese vigore.

Siamo creature di desiderio e di attesa. Nel cuore abita una costante tensione verso l’oltre, in un continuo e appassionato “tendere-a”, perché il presente non basta a nessuno.

Soprattutto in certi momenti della storia, personale e collettiva, l’attesa di una novità, di un cambiamento, si fa più forte e ci spinge fuori dai normali sentieri, alla ricerca di una prospettiva diversa, di una parola fresca e libera.

Questa tensione verso un’auspicata novità, può portarci facilmente sulla via dell’inganno, soprattutto quando incontriamo qualcuno che ci dice quello che vogliamo sentire e che nuovo non è.

Il tempo in cui ha vissuto e predicato Giovanni Battista, era un tempo di fermento. Si riteneva che quello fosse il momento in cui sarebbe venuto il Messia. Per questo: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15).

Sollecitati dalla parola del Battista, tanti erano accorsi al Giordano per avviare un serio cammino di conversione e si domandavano se non fosse proprio lui il Cristo atteso.

Giovanni sa di non essere il Messia e lo dice apertamente. Il suo battesimo è solo lavacro esteriore e segno di un impegno personale al cambiamento. Rigenerare dal di dentro è possibile solo per chi battezzerà «in spirito santo e fuoco» (Lc 3,16).

Il Messia, però, non viene nel modo che la gente, e anche Giovanni, pensa. Gesù non impone la sua presenza. Il suo stile è di solidale vicinanza caratterizzata dall’amore, come viene subito messo in evidenza: prende posto fra la gente, viene battezzato, si mette in preghiera (cfr Lc 3,21).

«Il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). Il Padre lo dichiara Figlio proprio nel suo itinerario di abbassamento iniziato nel seno di Maria, ora espresso nel battesimo e che poi si compirà nel mistero della morte in croce.

Il battesimo di Gesù ci dice che non può esserci amore senza immersione solidale nella storia, senza assumere le debolezze e le ferite delle persone. E ci dice pure che quando ci si immerge fino in fondo c’è una nuova Pentecoste

Nell’essere «Figlio amato» c’è il fondamento, ma nell’amore fino alla morte di croce vissuto da Gesù c’è il compimento.

Come per il Figlio così anche per noi, creature che, nel Battesimo, siamo divenuti figli nel Figlio mediante la rigenerazione nello Spirito Santo: solo nella costante e concreta dinamica dell’amore potrà compiersi ogni nostra attesa.

Don Momigli

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