XXVII domenica Tempo ordinario anno A: Is 5,1-7 Sal 79 Fil 4,6-9 Mt 21,33-43
La parabola di oggi ci ricorda che ogni opportunità offerta è anche una responsabilità. Ci mette in guardia dal peccato terribile di vivere la nostra religiosità solo come appagamento individuale, dal tenere solo per noi i frutti che derivano dai doni che Dio ci ha fatto.
Possiamo anche trarre un realistico insegnamento esistenziale: a partire dalla vita, tutto ci è donato; possiamo ingannare noi stessi pensando sia possibile usurpare il possesso di quello che non è nostro, ma è un’illusione.
Quella del possesso è una tentazione che si verifica spesso in coloro a cui viene affidata una responsabilità, che esercitano un certo potere, di qualsiasi genere e in qualsiasi ambito. Anche quando facciamo qualcosa di umanamente e socialmente utile, soprattutto se l’idea è stata nostra, spesso ci comportiamo come fossimo i padroni del servizio che facciamo.
Non dobbiamo meravigliarci. Il primo peccato consiste proprio nel tentativo di appropriarsi di un dono: il giardino coi sui frutti era stato donato alla prima coppia perché ne godessero, invece si lasciano prendere dalla tentazione di possedere il giardino.
Basta appena riflettere per capire che il possesso è solo apparenza, illusione. Tutto ci può essere tolto in qualunque momento: la nostra casa, i nostri cari, i nostri ruoli, la salute, la nostra stessa vita.
Eppure viviamo in questo mondo ritenendolo nostro, come se non lo avessimo ricevuto da Dio e dalle generazioni che ci hanno preceduto. Viviamo come se non avessimo nessuna responsabilità nei confronti delle future generazioni e di milioni di donne e di uomini che oggi nel mondo soffrono per le conseguenze dei nostri stili di vita.
Mi pare che si adattino bene al vangelo di oggi le parole con cui Papa Francesco conclude l’Esortazione apostolica, pubblicata il 4 ottobre festa di San Francesco di Assisi: «“Lodate Dio” è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (73).
Per tenersi la vigna e i suoi frutti i contadini della parabola arrivano ad uccidere il figlio del padrone, pensando così di poter usurpare l’eredità. Ma questo ragionamento, apparentemente razionale, li porterà a perdere anche quello che hanno.
Per ricordarci che non siamo padroni ma affidatari della vigna e che siamo chiamati a renderne conto, ogni giorno il Signore ci manda, sotto diverse sembianze, i suoi servi a chiedere i frutti.
Questi servi, ad esempio, possono avere l’aspetto di persone che cercano un senso di vita, un calore umano, un riconoscimento alla loro esistenza; altre volte possono avere le sembianze di persone che hanno fame, che sono costrette ad emigrare per evitare soprusi, che sono vittime delle conseguenze ecologiche, economiche e sociali della desertificazione e dell’erosione dei suoli.
Sempre nella Laudate Deum, Papa Francesco ci ricorda che «la nostra cura per l’altro e la nostra cura per la terra sono intimamente legate» (L.D 3). «Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi» (28). «La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società» (33).
La parabola di oggi, come quella della settimana scorsa, è detta da Gesù ai «capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» (Mt 21,23), per proclamare solennemente che il modo di concepire e gestire il potere loro concesso li porterà all’esclusione: «a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,43).
Chi guarda solo a sé stesso come criterio di ogni scelta e sceglie sempre a partire da quello che pensa sia il proprio interesse, finisce per escludersi dalla gioia di un raccolto condiviso.
La parabola è drammatica: ci presenta un crescere di violenza che sembra non avere limite. Ma, mentre ci pone davanti le nostre responsabilità e colpe, ci apre anche a un futuro certo: quella pietra scartata rimane la pietra angolare. Possiamo anche rifiutare l’amore, ma non possiamo impedire all’amore di continuare a reggere e a dare speranza al mondo.
È basandosi su questa certezza che Papa Francesco afferma che «La fede autentica non solo dà forza al cuore umano, ma trasforma la vita intera, trasfigura gli obiettivi personali, illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato» (L.D, 61).