Quinta domenica di Pasqua A: At 6,1-7 Sal 32 1Pt 2,4-9 Gv 14,1-12
Nel racconto degli Atti, che abbiamo ascoltato come prima lettura, si registra il malcontento dei cristiani di lingua greca, perché «venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana» (At 6,1).
La cosa viene portata davanti ai Dodici, che non entrano nella disputa. Sottolineano, però, che non è giusto che loro lascino «da parte la parola di Dio per servire alle mense» (At 6,2).
Pertanto, per non trascurare né l’annuncio della parola né il servizio ai poveri, chiedono di cercare sette fratelli idonei fra i cristiani di lingua greca, ai quali gli apostoli delegano la supervisione della diaconia delle mense, attraverso la preghiera e l’imposizione delle mani. Costituiscono, così, una nuova struttura per il servizio ecclesiale.
Perché i cambiamenti siano secondo lo Spirito, la sorgente è la comunione di fede in Cristo risorto. La comunità cristiana, grazie alla libertà del vangelo e alla carità di fratelli e sorelle, diventa una compagine dotata di una sua propria autonomia e consistenza, differenziandosi sempre di più dall’originaria struttura della sinagoga di Gerusalemme.
La nota finale del brano ci dice che la creatività degli apostoli rispetto all’insorgere di nuove sfide, si è dimostrata positiva e suggerisce la necessità di essere sempre aperti alle riforme che il Signore ci domanda anche attraverso le questioni che nascono nel tempo: «La parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede» (At 6,7).
Adeguamenti e riforme, anche strutturali, sono possibili e pure necessari. La discriminante, per valutare la necessità e positività di un cambiamento, è l’ancoraggio al fondamento: il crocifisso risorto, «pietra che i costruttori hanno scartato», che «è diventata pietra d’angolo» (1 Pt 2, 6) e che regge l’intera comunità cristiana.
Ogni volta che, come persone e come comunità, siamo chiamati ad affrontare una questione nuova è indispensabile mantenere la centralità di Gesù Cristo e la libertà che scaturisce da lui, come hanno fatto i primi cristiani.
Dobbiamo anche domandarci se la resistenza che spesso abbiamo di fronte al cambiamento deriva dal pensare la situazione presente come condizione di stabilità, anziché come modalità transitoria verso la dimora che il Signore ha preparato per noi.
È pur vero che ogni essere vivente cerca la stabilità, la sicurezza, il riposo e il rifugio che può dare una dimora stabile. L’uccello fa il suo nido, il lupo la tana e la persona umana la casa.
La casa dà il senso della sicurezza; è il luogo dell’intimità e della crescita. Per questo cerchiamo di renderla confortevole e sempre più “nostra”, con arredamenti e oggetti che parlano di noi, come quelli dei luoghi in cui siamo stati o che rappresentano fasi importanti della nostra vita. Ma la casa che possiamo costruirci non è la nostra condizione definitiva.
Pur vivendo in modo itinerante, possiamo dire che i discepoli si sentono a casa stando con Gesù. È dunque facile immaginare il loro smarrimento, quando Gesù parla di quel che accadrà.
E si capiscono anche le parole con cui Gesù cerca di rassicurare i suoi, invitandoli ad aver fiducia in lui e dicendo che la loro vera casa si trova dove lui è: «vado a prepararvi un posto… perché siate anche voi dove sono io» (Gv 14,2-3).
I discepoli hanno visto Gesù, hanno vissuto con lui, ma solo se hanno il coraggio di spingere lo sguardo oltre possono vedere in Gesù il Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv, 14,9). E possono pure scoprire che senza di lui niente è possibile, perché solo lui è «la via, la verità e la vita» (Gv, 14,6).
L’amore da vivere è senza confini e le azioni da compiere sono molteplici: solo chi non è ancora stato scosso dalla novità di vita, comunicata dalla fede nel Risorto, può restare inoperoso e chiudersi in una presunta stabilità.
Il posto nello spazio d’amore che è la comunione col Padre, però, non dipende dalla nostra operosità: è Gesù che lo prepara per noi.