Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 6 agosto 2023

Trasfigurazione del Signore anno A: Dn 7,9-10.13-14   Sal 96   2Pt 1,16-19   Mt 17,1-9

Gesù chiama Pietro, Giacomo e Giovanni ad accompagnarlo su «un alto monte» (Mt 17,1), dove gli fa vivere un’esperienza così straordinaria che l’evangelista descrive con difficoltà.

Gesù cambia aspetto. Questo cambiamento fa sì che i tre apostoli, oltre al corpo e allo sguardo di Gesù che ben conoscono, vedano anche la sua gloria, normalmente velata ai loro occhi: «Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2).

Come annota l’evangelista, l’evento della trasfigurazione avviene «sei giorni dopo» (Mt 17,1) che Pietro ha riconosciuto Gesù come Messia e la sua successiva opposizione a Gesù, quando ha annunciato di voler andare a Gerusalemme per donare la vita.

L’esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni, pur caratterizzata dalla luce, è per loro oscura e potrà essere compresa solo quando sarà illuminata dalla Pasqua, che include il cammino della croce – a cui Pietro si era opposto – e un ripensamento del volto di Dio, attraverso la rilettura della legge e dei profeti, come evidenzia la presenza di Mosè ed Elia (Cfr Mt 17,4).

Il mistero di Dio e del suo amore – come la Pasqua, il Natale e anche la Trasfigurazione di Gesù – viene sempre descritto con immagini di luce.

Non si tratta però di un bagliore materiale, ma di una profonda esperienza interiore, nonostante che gli evangelisti tentino di esprimere l’esperienza fatta con immagini.

Si tratta di un bagliore materiale, invece, quella luce che la madre di Kenzaburo Oe – futuro premio Nobel per la letteratura – ha visto la mattina del 6 agosto 1945, dal luogo in cui abitava, a circa un centinaio di chilometri da Hiroshima.

Lo scrittore giapponese, che nel 1945 aveva dieci anni, racconta che sua madre, al ritorno dal bosco dove raccoglieva erbe medicinali, disse, assai impressionata, di aver visto in direzione di Hiroshima “una grandissima luce”.

La luce della Trasfigurazione proviene da Dio e annuncia il futuro del mondo in Cristo. Il bagliore di Hiroshima, invece, proviene dagli uomini ed è segno di devastazione e di morte, che minaccia il presente del mondo e ne compromette il domani.

Il bagliore visto dalla mamma di Oe testimonia la capacità dell’essere umano di sfigurare e deturpare il proprio volto e di devastare il cosmo e chiama tutti a un sussulto di responsabilità, per non rimanere prigionieri del sentimento di impotenza e lasciare che il mondo scivoli in un continuo decadimento fino all’autodistruzione.

Anche l’esperienza fatta da Pietro, Giacomo e Giovanni, che apre alla dimensione affascinante e spaventosa del divino, pur per motivi opposti, può suscitare il desiderio di fermarsi, di non ridiscendere nelle dinamiche quotidiane della vita.

Il punto cruciale della narrazione di Matteo, però, non consiste nella visione, ma nella voce del Padre proveniente dal cielo che, su Gesù, ribadisce quanto proclamato al Giordano dopo il suo battesimo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5)

L’ascolto e l’accoglienza di Gesù Cristo e della sua parola cambia il nostro sguardo, rende capaci di andare oltre quel che appare e consente di vedere in verità e in profondità. L’ascolto ci porta a vedere, insieme, l’umanità e la divinità, l’eterno e il quotidiano e ci dona la forza di alzarsi e senza temere (Cfr Mt 17,7), per vivere la realtà che ci è data.

La riscoperta sempre più profonda e viva di Gesù e la relazione con lui spinge sempre a “scendere dal monte”, per muovere nuovi passi di conversione, senza fuggire dalla complessità della vita, ma proprio immergendosi in essa.

Se i figli del regno non si immergono nel campo del mondo per seminare il buon seme, saranno solo i figli del diavolo a seminare i loro semi.

In ogni fase della vita, qualsiasi sia la nostra condizione di vita e fisica, siamo sempre chiamati a vivere un’esperienza di intimità con Gesù e a portare in questa intimità le necessità spirituali e materiale di persone e popoli.

Quando l’intimità con Gesù è vera, e non si riduce a sentimentalismo individualistico, oltre a portare a lui il mondo, ci spinge a metterci concretamente in gioco, per trasformare le relazioni interpersonali e sociali e “trasfigurare” questo mondo in cui viviamo, rendendolo sempre più umano.

 

Don Momigli

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