Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 5 febbraio 2023

Quinta domenica Per Annum A: Is 58,7-10   Sal 111   1Cor 2,1-5   Mt 5,13-16

Per definire i discepoli e la loro missione, nel vangelo di oggi Gesù impiega due immagini precise: «Voi siete sale della terra» e «Voi siete luce del mondo» (Cfr. Mt 5,13-14).

Gesù non dice ai suoi discepoli siate, o dovete essere. Semplicemente dice: «siete». Non si tratta di una chiamata, un auspicio, una promessa, un invito… ma della descrizione di ciò che è il discepolo.

Il sale è sale perché salato. Il sale non si mangia, ma lo si usa per condire e dare sapore al cibo. Se perde sapore non è più sale e non si può rimediare: non c’è niente che possa renderlo salato. Così è per la luce: o si è luce o non lo si è.

Gesù, quindi, non ci chiede uno sforzo per diventare sale e per diventare luce: ci dà un indicatore per valutare e per capire chi siamo e se siamo davvero suoi discepoli.

Se non siamo sale e luce, se chi è attorno a noi non è coinvolto dal nostro sapore e non viene in qualche modo raggiunto dalla nostra luce, occorre seriamente chiederci se siamo davvero discepoli di Gesù; se siamo persone che stanno dietro di lui, che si fanno istruire da lui, che vivono di lui.

Il discepolo, più esattamente il voi della comunità cristiana, non è sale di un agglomerato di case, di un quartiere, di una regione, ma della terra. Come dire che in terra non c’è altro che possa dare sapore alla vita se non Cristo.

I discepoli non sono luce di uno spazio circoscritto, ma del mondo. Come dire che nel mondo non c’è altra vera luce all’infuori di Cristo.

Il sale e la luce raggiungono il loro scopo consumandosi. Si tratta di perdersi, come il sale nella minestra e come l’olio nella lampada. Si tratta di assumere lo stile di Dio, quello di un discreto modo di amare.

Il discepolo di Cristo fa la differenza là dove è chiamato a stare. Il sale e la luce sono al servizio degli altri: il sale dà sapore al cibo perché qualcun altro possa mangiarne; la lampada fa luce affinché qualcun altro possa camminare sicuro. Sale e luce, pertanto, sono immagini di amore.

Se il «voi», che indica la comunità dei discepoli, è mosso da un amore solamente umano, pur essendo importante, non può dare sapore né illuminare il senso e l’orizzonte della vita.

Se questo «voi» non fa la differenza qualitativa nel proprio contesto di vita, vuol dire che ha perso il sapore, la sapienza del Vangelo, perché si è inaridita la vitale relazione con Cristo della comunità ecclesiale.

Se questo «voi» non illumina il mondo con relazioni ispirate e mosse da una logica di comunione, significa che – venendo meno il necessario e vitale rapporto con Cristo – anche all’interno dell’ambito ecclesiale hanno prevalso marcate individualità e un’impropria ricerca di ruoli, fosse anche il semplice poter decidere una composizione di fiori.

Se questo «voi» non è sale e luce, siamo davanti a una mancanza insanabile: «se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13).

Per essere sale e luce, occorre ripartire da capo, risintonizzandoci a Cristo come se fosse la prima volta. Per essere sale e luce Gesù Cristo va accolto, seguito e testimoniato nella chiarezza e nell’umiltà.

Come persone e come comunità cristiana, dobbiamo guardarci dell’esibizionismo della fede, che non può dare sapore e emanare luce, perché l’ostentazione è più per sé stessi che per comunicare alle donne e agli uomini del proprio tempo «Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,1).

Bisogna pure guardarsi dalla tentazione dell’anonimato, come se gusto e luminosità potessero venire dalla nostra umanità, senza riferimento a Gesù Cristo.

Entrambi questi atteggiamenti condividono la stessa mancanza di una vera relazione con Gesù e con gli altri e portano il «voi» dei discepoli all’insipienza e alla tenebra e a trasmettere insipienza e tenebra.

Non si è sale e luce quando si riduce il rapporto con Dio allo scrupoloso adempimento di pratiche religiose, ma quando si orienta la propria vita alla luce della Parola, si accoglie il sapore di Dio nella propria vita e, come proclama la prima lettura, si spezza il pane con l’affamato, si introduce in casa i senza tetto, si veste chi è nudo, si libera chi è oppresso (Is 58,7-10).

Non si è sale della terra e luce del mondo rimanendo nell’ambito del culto e delle attività interne all’ambito ecclesiale, anche se occorre maturare la consapevolezza che le azioni e i gesti che viviamo tra noi dicono molto su quello che siamo.

Tutto viene da Dio, tutto a Dio ritorna, tutto in lui trova il suo significato. Siamo sale, siamo luce, se gli altri, vedendo le nostre opere buone, rendono gloria al Padre che è nei cieli (Cfr. Mt 5,16).

Don Momigli

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