XIV Domenica Tempo Ordinario Anno B: Ez 2,2-5 Sal 122 2Cor 12,7-10 Mc 6,1-6
Gesù torna a Nazaret, «nella sua patria» come annota Marco (Mc 6,1). Di sabato entra nella sinagoga e si mette ad insegnare. Marco, a differenza di Luca, non dice niente sul contenuto del suo insegnamento, ma soltanto che gli ascoltatori rimangono stupiti e che questo stupore anziché in accoglienza si trasforma in rifiuto.
Da quando se ne era andato per recarsi al Giordano da Giovanni e si era messo a predicare per le borgate e i villaggi, non era più tornato a Nazaret.
Pertanto, è facilmente immaginabile che ci fosse tutto il paese ad ascoltarlo, data la sua fama di maestro sapiente e di potente guaritore ormai diffusa per la Galilea e anche oltre.
Quando Gesù aveva parlato nella sinagoga di Cafarnao, aveva provocato una forte reazione di uno spirito immondo che era dentro un uomo lì presente (cfr Mc 1,21-26). Adesso la reazione, di netto rifiuto, proviene direttamente dagli ascoltatori.
Pur meravigliandosi «della loro incredulità» (Mc 6,6à), Gesù sa bene che «un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (Mc 6,4). Infatti «È venuto tra i suoi e non l’hanno accolto» (Gv 1,11).
Il profeta è colui che sa leggere le situazioni alla luce della parola di Dio, senza schemi precostituiti. Per questo irrompe, sorprende, corregge ogni legame che pretende assolutezza, infrange luoghi comuni, spalanca gli spazi, innova narrazioni.
La presenza del profeta è segno dell’amorosa vicinanza di Dio che, nonostante la durezza di cuore dell’uomo, non si rassegna: «Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno che c’è, in mezzo a loro, un profeta» (Ez 2,5).
In quest’unica volta in cui Gesù qualifica sé stesso come profeta, Marco sottolinea il rifiuto parlando di tre ambienti di vita, sempre più circoscritti, a indicare fin dove può estendersi il rifiuto: patria, famiglia, casa.
Causa del rifiuto è che Gesù, con la sua parola e le sue opere, sta rompendo e rivoltando lo schema legato all’attesa del messia, che nei secoli ha assunto un’immagine grandiosa, con i criteri del mondo.
Scandalizza, in modo particolare i compaesani di Gesù che ben conoscono le sue umane origini, che il Messia con la sua salvezza possa giungere in modo così quotidiano e quasi anonimo.
Con la sua parola e la sua vita, Gesù insegna che l’accoglienza della vita nuova, avviene lontano dalle dinamiche religiose, che in modo tutto umano fanno leva su forza e potenza, sulla straordinarietà e lo sforzo dell’uomo più che sulla quotidianità e la grazia di Dio.
Come per gli abitanti di Nazaret, la tendenza al pregiudizio e a mettere etichette caratterizza anche le nostre letture della realtà, i nostri rapporti con gli altri e anche la nostra religiosità.
Quando la fede diventa abitudinarietà e autoreferenzialità significa che ha smesso di essere autentica, che si è trasformata in una cultura chiusa, incapace di aprire gli occhi sulla realtà, non disponibile ad ascoltare una parola nuova che scomoda, che mette in crisi e spinge al cambiamento.
Quanto potremmo continuare a occultare la sterilità generativa che caratterizza la nostra vita personale di molti, di molte famiglie e delle nostre comunità? La testardaggine non solo ci rende sordi e ciechi, ma fa uscire fuori la cattiveria che c’è in ciascuno di noi.
Il Signore ci invita ad assumere un atteggiamento di ascolto, a porci domande nuove, a uscire fuori dalle soffocanti etichette e pratiche che non dicono più nulla. È necessario andare oltre anche alle esperienze positive e che tanto ci hanno dato in una particolare stagione della nostra vita personale e comunitaria. Rimanere fermi significa regredire e anche tradire quanto di buono il Signore ci ha concesso di vivere.
Rimanere fermi è sintomo di mancanza di fede e la mancanza di fede è un ostacolo alla grazia di Dio. Mentre la fede ci mette sempre in movimento, consentendoci di continuare a crescere nella conoscenza di Dio, degli altri e del mondo.
La mancanza di fede è un ostacolo all’azione di Dio, «non poteva compiere nessun prodigio», ma non la ferma, «solo impose le mani a pochi malati e li guarì». (cfr Mc 6,6), perché il suo amore per noi è più grande della nostra durezza di cuore.
Per questo, o ci affidiamo a lui con fiducia osando e rischiando terreni nuovi, oppure sarà lui, come ha fatto permettendo le persecuzioni alla chiesa nascente, ad obbligarci a camminare su quelle strade che lui ha preparato per noi.