Seconda di Avvento Anno A: Is 11,1-10 Sal 71 Rm 15,4-9 Mt 3,1-12
Lo scenario sulle cose ultime, che ha caratterizzato la prima domenica di Avvento indicando come fine del cammino terreno l’incontro col Cristo glorioso, si precisa oggi con un richiamo all’essenzialità della vita, alla concretezza della storia, alla verità delle nostre decisioni e delle nostre azioni.
La liturgia di oggi è un appello alla conversione. Un invito a cambiare per accogliere il Signore che viene, guardando con onestà, e con convinta critica, alle nostre effettive priorità, alle sicurezze su cui ci appoggiamo, all’idea di non aver bisogno di cambiare o di non esserne capaci.
Convertirsi non è un’operazione facile e comporta sempre un po’ di tensione e una certa sofferenza.
Ogni cambiamento autentico, infatti, scava in profondità e ci fa morire alle cose vecchie per far poste alle nuove.
Non si tratta solo di un cambiamento nei comportamenti, ma anche di un “cambiamento di parere”, un cambiamento teologico e antropologico del modo con cui si pensa Dio e la persona umana.
Convertirsi implica un riorientamento di tutto il nostro essere, un movimento che richiede il coraggio di lasciare, abbandonare, per inoltrarsi in percorsi nuovi. Cosa che non avviene a tavolino o solo per pio desiderio.
L’esperienza dice che ci muoviamo solo se dentro di noi arde un forte desiderio, come può essere il desiderio di un incontro, per vivere una relazione nuova, consapevoli che ogni relazione vera e significativa ci cambia e contribuisce a definire quello che siamo.
Per poter parlare di conversione, pertanto, bisogna cominciare a chiederci dove siamo, verso chi o cosa siamo diretti e a che punto è il nostro cammino. Ci sono sempre scelte da compiere e gesti concreti da fare.
Per incontrare il Signore che viene nell’oggi della nostra vita è necessario mettere in gioco la nostra esistenza, tutto quello che siamo: la nostra intelligenza, il nostro cuore, le nostre risorse, la nostra volontà.
Giovanni il Battista, personaggio centrale di questa seconda domenica di Avvento, annuncia la venuta e la presenza del Messia con toni duri e assegnando al Messia un ruolo di giustiziere che Gesù non ha mai svolto.
Ma con la sua vita e le sue parole gli rende feconda testimonianza, scuotendo i suoi uditori in modo dirompente. Dobbiamo riconoscere che, a volte, il desiderio prende vigore solo dopo che qualcosa o qualcuno ci ha scossi e messo in crisi.
Le parole che il Battista rivolge a molti farisei e sadducei, ad esempio, possono benissimo essere rivolte anche a noi: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?» (Mt 3,7).
Nella Bibbia l’ira di Dio non è intesa come un momento di nervosismo attribuito a Dio di fronte al malvagio comportamento degli uomini, ma come chiave per dire che quando non si percorre la via del bene e dell’amore la realtà diventa ostile e che non possono bastare alcuni buoni atti sporadici o il riferirsi ad alcune tradizioni religiose per cambiare la realtà.
Senza un orientamento chiaro continueremo a barcamenarci tra le esigenze del vangelo e quelle del mondo e anche questo Avvento rischia di rimanere senza incidenza, solo atto formale-liturgico pre-panettone. Poi passerà il Natale e arriveranno la Quaresima, la Pasqua e la Pentecoste … e noi saremo sempre gli stessi, impegnati a barcamenarsi senza riuscire a compiere scelte significative.
Solo guardando a Cristo potremo scorgere i germogli di speranza che stanno nascendo anche nelle situazioni apparentemente sterili (cfr Is 11,1-10). E solo ascoltando la sua parola potremo riorientare la nostra vita e ravvivare il desiderio necessario per coinvolgerci in modo vero e totale nell’attesa della sua venuta.
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2). Nella sostanza l’Avvento ci dice che la nostra attesa non è vana, perché Dio realizza quello che promette.
E ci dice che la fede nel Cristo che viene è anche pensare in modo diverso da come il cosiddetto buon senso ci suggerisce di pensare.