Don Giovanni Momigli

Schema Omelia Domenica 31 ottobre 2021

XXXI Domenica Tempo Ordinario Anno B: Dt 6,2-6   Sal 17   Eb 7,23-28   Mc 12,28-34

«Ascolta, Israele» (cfr Dt 6,3.4; Mc 12,29). Questo invito, ripetuto più volte nella liturgia di oggi, ci offre la possibilità di riflettere su uno dei fondamenti della nostra esperienza di fede.

L’ascolto è punto di partenza e fondamento dell’esperienza religiosa di Israele, che è «popolo dell’ascolto». Mettendosi in ascolto, Israele risponde a una richiesta del Signore, che appare più un appello che un comandamento.

La storia del popolo ebraico, a partire da Abramo, è la storia di uomini e donne chiamati ad ascoltare prima ancora che a vedere e a pregare. Ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica è luce per il cammino e conduce alla felicità (cfr Dt 6,3).

Porsi in ascolto di Dio significa accoglierlo come il centro della propria vita e comprendere sé stessi a partire da lui, come dimostra l’esperienza di Abramo, descritta come la crescita e la maturazione di una vita vissuta in relazione con quel Dio che lo ha chiamato.

L’ascolto chiesto a Israele è insieme invito a credere, a obbedire e ad agire.  Come afferma chiaramente l’apostolo Paolo «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17).

L’atteggiamento di obbedienza è fondamentale: la fede chiede di essere vissuta nel proprio contesto quotidiano di vita, con coraggioso anticonformismo.

Domani, solennità di Tutti mi Santi, rifletteremo sulla santità. Come sappiamo, la santità è propria di Dio e indica la sua alterità, la sua trascendenza rispetto al mondo, ma non la sua lontananza. Come appare nel racconto del roveto ardente, la santità di Yhwh è il suo volto rivolto alla condizione dei suoi figli per prendersi cura di loro (cfr Es 2,25; 3,7-8).

L’ascolto e l’obbedienza della fede, quindi, mentre liberano dalla moltiplicazione dei precetti e dalle osservanze che incasellano e rendono schiavi, fanno volgere il proprio volto dove lo rivolge Dio: verso i fratelli e le sorelle, soprattutto verso coloro che si trovano nel bisogno e che gridano il proprio dolore.

Ascolto della Parola e obbedienza nella fede, pertanto, convertono all’amore. Ed è proprio l’amore che Gesù mette al centro della risposta alla domanda dello scriba su quale sia il primo dei comandamenti (Mc 12,28).

L’essenza della Legge è tutta contenuta nella professione di fede d’Israele: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (Mc 12,29).

Prestando ascolto a Dio si fa l’esperienza di essere amati. Ci si rende conto che la vita è un dono; che siamo stati «scelti prima della creazione del mondo» (Ef 1,4); che Dio sempre ci accompagna nel cammino.

Ascoltare il Signore e amarlo con tutto sé stessi è anche fonte di libertà: se Dio è l’unico Signore, nessuno può pretendere la signoria su di noi, né possiamo assoggettarci a niente e a nessuno. Quando ci assoggettiamo a una qualsiasi potenza del mondo, persona o cosa che sia, fosse anche il solo pensiero dominante, pecchiamo di idolatria e perdiamo la libertà che il Signore ci ha conquistata (cfr Gal 5,1).

Ascoltare e amare Dio, per Gesù, implica anche l’amore per il prossimo e l’amore per sé stessi (Mc 12,31).

Separare o porre in alternativa l’amore per Dio, l’amore per il prossimo e l’amore per sé stessi è una tragica conseguenza del peccato che genera peccato. Vissuti insieme e in maniera corretta, invece, sono la vera forza della persona la via della propria realizzazione. Ciascuno di noi, infatti, si realizza spendendosi e mettendo in gioco sé stesso per amore.

La condizione indispensabile per crescere nella fede e per costituirsi e crescere come comunità sta proprio nell’umile disponibilità all’ascolto di Dio e della sua parola. Bisogna, dunque, ricominciare dall’ascolto, come persone e come comunità.

Se non poniamo a fondamento l’ascolto di Dio, ma anche il paziente ascolto degli altri e delle vicende del tempo, corriamo il rischio di ripiegarsi su noi stessi o spenderci in prestazioni per far fronte a urgenze, emergenze e bisogni, senza capacità di condivisione, senza tensione fraterna e senza la necessaria attenzione al volto delle persone.

La risposta di Gesù allo Scriba, nella sostanza ci dice che non si tratta primariamente di obbedire a comandamenti o incrementare preghiere, ma di ascoltare, credere e amare, fiduciosi che lui è «sempre vivo per intercedere» a nostro favore (cfr Eb 7,25).

Don Momigli

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