Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 30 gennaio 2022

IV Domenica Tempo Ordinario Anno C: Ger 1,4-5.17-19   Sal 70   1Cor 12,31-13,13   Lc 4,21-30

Il profeta è una persona che Dio “afferra” per affidargli una missione e che, nel compiere questa missione, vive incomprensioni e ostilità. È una persona, come confessa lo stesso Geremia, alla quale Dio fa violenza e prevale, ma è una persona libera che fa propria la missione affidatagli: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre» (Ger 20,7).

Il profeta non è solo inviato a portare una comunicazione, a trasmettere un messaggio, ad annunciare un evento. Ma è una persona coinvolta esistenzialmente in quello che annuncia.

Il rifiuto della parola del Signore da parte dei suoi destinatari, ad esempio, coinvolgerà direttamente e fisicamente Geremia (cfr Ger 1,17).

La parola che Geremia è inviato a portare, infatti, è una parola “contro”: denuncia le falsità dei cortigiani, lo stile di vita dei borghesi, l’ipocrisia degli opportunisti, per spingerli alla conversione e al ritorno al Signore (cfr Ger 1,18-19).

I compaesani di Geremia non riescono a comprendere che la parola da lui detta non è sua e si accaniscono crudelmente contro di lui, colpevole di tradire i loro desideri e dissipare le loro illusioni.

La Parola di Dio può risuonare invano anche per noi ogni volta che ci facciamo un’immagine di Dio e un culto a nostra misura; ogni volta che diamo credito solo a coloro che dicono quello che vogliamo sentire e che ci confermano in quel che pensiamo e facciamo; ogni volta che ci chiudiamo all’ascolto di coloro che cercano di farci ragionare con parole e riflessioni diverse dalle nostre.

Essere attenti e aperti all’imprevedibile e sconvolgente novità della parola, che Dio ci rivolgi nell’oggi della nostra vita, è indispensabile per non diventare vittime e carnefici delle nostre reazioni istintive e dei nostri pregiudizi, come gli abitanti di Nazaret.

Il vangelo di domenica scorsa ci ha presentato Gesù che, tornato per la prima volta a Nazaret dopo che se ne era andato per iniziare il suo ministero pubblico, entra nella sinagoga, legge il passo del profeta Isaia che parla del futuro Messia e dichiara: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).

Il vangelo di oggi, ci presenta la reazione dei suoi concittadini che, dapprima stupiti e ammirati, piano piano si allontanano da lui dicendo: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22)

Questa domanda, che è un’affermazione, può essere una manifestazione di stupore per le parole pronunciate da Gesù, ma può anche essere una critica scettica e cinica, come dire: chi crede di essere?

La domanda, come sembrano mettere in luce le successive parole di Gesù – «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!» (Lc 4,23) – può pure esprimere un tentativo di “impadronirsi” di Gesù a proprio vantaggio. Una tentazione alla quale le persone religiose sono sempre esposte: considerare la religione come un investimento umano e, di conseguenza, mettersi a “contrattare” con Dio cercando quello che si pensa corrisponda al proprio tornaconto.

All’inizio la gente provava ammirazione per Gesù e lui avrebbe potuto ottenere facilmente il consenso se lo avesse cercato. Però, con le sue parole (cfr Lc 4,24-27), Gesù prende le distanze dal loro modo di pensare e provoca una definitiva rottura: pieni di rabbia «lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4,29).

L’episodio di Nazareth e la vicenda di Geremia ci dicono che vero profeta è colui che si pone al servizio della verità di Dio per il vero bene di tutti e di ciascuno e che è sempre pronto a pagare di persona: non segue i sondaggi, non dice alla gente quello che la gente vuole sentirsi dire.

Quanto abbiamo ascoltato ci dice anche che vero credente è chi si lascia mettere in discussione dalla Parola, senza chiudersi nelle proprie convinzioni, anche perché ogni tipo di pre-giudizio allontana da Dio e dalla realtà e rischia di farci vivere anche le cose buone in modo sbagliato.

San Paolo ad esempio, nella seconda lettura, richiamando la bellezza e la centralità della carità (cfr 1Cor 12,31-1313), che è il cuore del vangelo e che dà senso a tutto, ci fa capire che dobbiamo metterci in discussione se e quando viviamo senza carità i carismi che il Signore ci ha dato per il bene comune.

La necessità di lasciarsi mettere in crisi dalla Parola deriva anche da una semplice constatazione: se quel che pensiamo e quel che viviamo andasse bene, avremmo una fecondità che oggi non sembra affatto esserci.

Riflettendo bene su quanto avvenuto a Nazaret, chiediamo a Dio Padre che il fuoco dello Spirito trasformi ogni nostro pregiudizio e ogni nostra resistenza, affinché possiamo aprirci all’accoglienza di Cristo e all’ascolto della sua parola.

Sarà bene per noi, ma anche per il bene della Chiesa e il bene del mondo.

Don Momigli

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