Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 3 aprile 2022

Quinta di Quaresima Anno C: Is 43,16-21   Sal 125   Fil 3,8-14   Gv 8,1-11

Il clima socioculturale nel quale siamo inseriti, il contesto in cui viviamo, le amicizie che coltiviamo, quasi senza accorgercene ci portano a metterci una maschera per recitare uno specifico ruolo nel palcoscenico delle relazioni.

Benché proviamo a cambiare di tanto in tanto la nostra maschera, ci sono dei ruoli nei quali ci troviamo meglio, tanto da rimanervi attaccati, quasi intrappolati, fino a pensare che quel ruolo corrisponda a ciò che siamo.

Ci sono persone che assumono il ruolo della vittima: in ogni situazione si ritengono quelle che pagano le conseguenze di ogni ingiustizia che c’è nel mondo e che danno facilmente la colpa agli altri di ogni loro problema, senza mai assumersi responsabilità.

Ci sono persone, invece, chi assumono il ruolo di accusatore: pensano di essere giuste, curano la loro immagine, fanno di tutto per non essere trovate in difetto.

E ci sono persone che provano a svolgere il ruolo del salvatore: devono salvare le situazioni a ogni costo, si sacrificano per gli altri anche quando nessuno glielo chiede o non ci sono motivi per farlo.

Quando queste tre tipi di persone si incontrano nella stessa scena della vita, il rischio è quello di costruire dinamiche perverse e pericolose, che possono andare avanti all’infinito.

In queste circostanze, l’unica via di uscita è che uno degli attori, con un movimento insolito, si sottragga al ruolo che la situazione lo porta ad assumere, facendo saltare dinamiche precostituite che condurrebbero a un finale già scritto.

Le letture di questa quinta domenica di Quaresima ci dicono che non ci sono situazioni dall’esito scontato, perché in ogni situazione possono sempre innescarsi movimenti diversi, capaci di buttare all’aria ruoli e schemi e di aprire percorsi nuovi per un futuro diverso.

Il brano del vangelo ci presenta una donna di fatto colpevole, ma che la situazione gli fa assumere il ruolo di vittima: a causa del suo adulterio, viene presa con la forza e posta sotto la fredda norma della legge.

Gli scribi e i farisei, invece, assumono il ruolo di accusatori: accusano la donna «sorpresa in flagrante adulterio» (Gv 8,4) e la portano a Gesù con l’intento di metterlo alla prova «per avere motivo di accusarlo» (Gv 8,6).

La richiesta fatta a Gesù, infatti, contiene un tranello: «Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (Gv 8,5). Se Gesù si schiera con la Legge, manca di misericordia; se si pone come salvatore va contro la legge.

Gesù evita di assumere il ruolo che gli accusatori, zelanti delle cose di Dio, vorrebbero imporgli: i suoi movimenti, i suoi silenzi, il chinarsi a scrivere per terra e le parole che pronuncia, dimostrano che il suo sguardo si posa più sulle persone che all’evidenza dei fatti.

Dopo ripetuta insistenza da parte di scribi e farisei, Gesù si alza e pronuncia parole capaci di assumere l’umanità della donna, ma anche quella dei suoi accusatori: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). E poi, «chinatosi di nuovo», si rimise a «scrivere per terra» (Gv 8,8).

Chiedendo a ciascuno un atto di verità, Gesù si espone al rischio che qualcuno scagli davvero la pietra. Ma così facendo dà fiducia agli accusatori e sconvolge le posizioni: scribi e i farisei da accusatori si ritrovano a essere imputati e perciò abbandonano il campo «uno per uno, cominciando dai più anziani» (Gv 8,9).

Quando tutti se ne sono andati, Gesù si rialza per parlare alla donna: «Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,10-11).

Con i suoi atteggiamenti e le sue parole, Gesù ci presenta il volto di un Dio sempre pronto a dare una nuova possibilità. Una nuova possibilità che qui viene offerta alla donna, ma anche ai suoi accusatori.

Gesù crede più di noi nella nostra possibilità di essere migliori; nella nostra capacità di non lasciarci rinchiudere entro le nostre certezze e di non rimanere seppelliti sotto le nostre colpe; nel nostro saper cogliere l’opportunità per ricominciare da capo, rinnovando la nostra vita.

Per cominciare un cammino nuovo, senza pietre nelle mani e senza continuare nella via del tradimento, è necessario correre verso la meta, dimenticando ciò che ci sta alle spalle (cfr Fil 3,14) e imparare a leggere i segni che il Signore mette sulla nostra strada: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18).

Quello che siamo oggi è frutto del nostro passato, ma il domani è affidato allo spazio che il Signore lascia alla libertà e alla responsabilità con cui viviamo il nostro oggi.

Don Momigli

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