Sedicesima domenica tempo ordinario anno A: Sap 12,13.16-19 Sal 85 Rm 8,26-27 Mt 13,24-43
Gesù continua a parlare alle folle attraverso parabole, che non presentano il messaggio in modo diretto, ma aprono alla verità di Dio e dell’essere umano con un messaggio sapienziale, che esige apertura e disponibilità alla ricerca e alla riflessione.
Questa disponibilità difficilmente si trova in chi si lascia portare dal vento del momento, cerca solo soddisfazione immediata e transitoria, fa proprie scelte di coppia, idee politiche o convinzioni religiose, per fare tre esempi, con lo stesso atteggiamento con cui sceglie un aperitivo o un dentifricio.
La propensione critica e riflessiva necessaria per valutare in modo sapienziale le questioni dell’esistenza, invece, è ben presente in chi sa che non ci possono essere soluzioni semplici per situazioni complesse, in chi vuole affrontare la vita in modo attivo, ponendosi domande di senso.
Gesù si presenta come la risposta alle profonde domande dall’animo umano e lo fa parlando della grandezza di Dio, di quello che Dio è in sé stesso e della sua relazione con ogni persona, e insegnando quello che può rendere la persona effettivamente libera, capace di vere relazioni e di pienezza.
In merito alle tre parabole di oggi vorrei sottolineare come, pur in modo e con finalità diverse, tutte ci insegnano quanto sia importante il tempo e la pazienza.
Di fronte al male presente nel mondo, la parabola del buon seme e della zizzania, ci dice che il tempo presente non è quello del giudizio finale, ma quello della pazienza e del discernimento.
Non la pazienza dei rinunciatari, o degli ignavi, ma quella umile e responsabile del contadino che semina con larghezza e sa di non poter forzare lo stelo e di dover rispettare l’intreccio del frutto buono con quello cattivo, senza semplificazioni dannose.
Tutti vorremmo poter estirpare subito il male, come i servi vorrebbero estirpare la zizzania: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?» (Mt 13,28).
Bisogna certamente sforzarsi di riconoscere il male, come fanno i servi notando che, assieme al grano, quando «lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania» (Mt 13,26).
Ed è certamente necessario, come hanno fatto i profeti, criticare e denunciare con forza il male senza abituarsi ad esso. Tacere è vigliaccheria, irresponsabilità, connivenza.
Il discepolo di Gesù deve prendere le distanze dal male e cercare di limitare al massimo il suo influsso, ma non spetta a lui dare la condanna definitiva ai seminatori di zizzania, né può abbandonarli a morire nel loro peccato: come il discepolo è un peccatore perdonato, anche il seminatore di zizzania può essere raggiunto dalla misericordia di Dio.
Sappiamo bene, però, quanto sia forte la tentazione di giudicare tutto e subito. Presupponendo di sapere sempre chi è il cattivo e chi è il buono, non ci limitiamo ad anticipare nel presente il giudizio finale di Dio, ma non siamo neppure capaci di attendere le sentenze del tribunale umano.
Verrà il momento della verità e ogni cosa buona apparirà nella sua luce. Fino ad allora è bene saper mantenere la saggezza, per non rischiare di buttar via quel che è buono.
La nostra attenzione è attratta dalla grandezza e dalla visibilità e oggi, come ieri, appare più grande il male del bene, anche se, sempre più spesso, stiamo facendo passare per bene quello che in realtà è male, per noi e per gli altri.
Il bene, quello vero che è dato dalla presenza del regno di Dio nel mondo, col tempo si affermerà in modo inaspettato: «un granello di senape…una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero» (Mt 13,31).
Gesù, con la terza parabola, ci dice che il regno di Dio è integrato nelle dinamiche umane, è seminato nei solchi della storia, è dentro i dolori e le gioie degli uomini e agisce come lievito nell’impasto.
La vocazione dei figli del regno, pertanto, è quella di mescolarsi all’umanità, di “immischiarsi” agendo come lievito nell’impasto, che scompare per far nascere qualcosa di grande, senza cedere alla tentazione di stare di fronte al mondo, in una sorta di separazione identitaria, o di ostentare il loro essere e il loro agire.
Il discepolo è inviato a far crescere i frutti del regno dentro il mondo, perché il mondo possa risorgere a vita nuova.