Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 23 aprile 2023

Terza domenica di Pasqua A: At. 2,14.22-23; Sal 15; 1 Pt 1,17-21; Lc 24, 13-25

Due uomini in cammino verso un villaggio di nome Emmaus «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto» (Lc 24,14). L’argomento della loro conversazione è una rilettura delusa e triste di un’esperienza che aveva scaldato i loro cuori e acceso le loro speranze, ma che appare finita con la morte in croce di Gesù di Nazaret.

I due discepoli hanno visto crollare i loro sogni, fallire i loro progetti. Si attendevano un messia glorioso, un re potente e vincitore e si sono trovati davanti uno sconfitto. Con la morte di Gesù le loro attese politiche e le loro speranze religiose si sono infrante.

La delusione fa nascere la rabbia, non ci fa vedere vie d’uscita e ci rende tristi. Immersi nel loro dramma, non si rendono neppure conto che colui che credono morto si avvicina e cammina con loro: «I loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16).

Gesù risorto conosce bene il motivo della delusione dei due discepoli, ma domanda e ascolta, lasciando loro il tempo di esprimere tutta l’amarezza che hanno dentro.

I due hanno lasciato Gerusalemme con la delusione nel cuore, senza neppure fermarsi a verificare l’esperienza fatta dalle donne, che avrebbe potuto cambiare, o almeno interrogare, le loro prospettive: «alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo» (Lc 24,22-23).

Se guardiamo la nostra vita, chi più chi meno, siamo un po’ tutti come quei due discepoli. Spesso abbiamo sperato in qualcosa o in qualcuno o anche in noi stessi e poi ci siamo ritrovati a terra delusi.

L’origine della delusione di questi due discepoli, come quella di molti di noi, però, è già nel motivo che ci porta a sperare: «speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24,21).

Hanno commesso un clamoroso errore. La vera speranza, quella alla quale siamo chiamati, non può essere confusa con le nostre speranze e aspettative tutte umane.

Come con i discepoli di Emmaus, Gesù risorto cammina con noi sulle strade del mondo e ci parla. Ci accompagna in un cammino che è anche psicologicamente e spiritualmente impegnativo: con la sua parola ci svela il mistero della vita; ci aiuta a guardarci dentro, a trovare le chiavi per interpretare la realtà e per condurci a guardare a lui e a rapportarsi con lui in modo nuovo.

L’annuncio e l’ascolto della Scrittura è condizione essenziale per arrivare a riconoscere il Risorto: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).

Gli occhi dei due discepoli, però, si aprono e riconoscono Gesù solo quando «a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30), anche se nel medesimo momento «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24,31).

Gli occhi dei discepoli, finora incapaci di riconoscerlo, ora si sono aperti. Riconosciuto il Signore, tutto cambia.

Nel cammino verso Emmaus hanno fatto tre ore di cammino a piedi quasi tutto in discesa e con la tristezza del cuore: vedono e parlano col Signore che cammina al loro fianco, ma sono sconfortati e senza speranza e non lo riconoscono.

Ora ripartono in fretta per Gerusalemme: rifanno la stessa strada, quasi tutta in salita e con la stanchezza del viaggio precedente, ma il loro cuore è pieno di gioia per aver visto il Signore. Gioia per averlo visto e anche eccitazione ed entusiasmo di poter portare questa esperienza agli altri.

Il cammino che ha portato al riconoscimento di Gesù e alla fede, diventa ora cammino di annuncio.

Questo loro rientrare a Gerusalemme, dove sanno che gli Undici e gli altri erano riuniti, per condividere la loro esperienza, ci dice che la fede in Cristo risorto non si esaurisce in una “religiosità privata”. C’è sempre il passaggio dall’esperienza e dalla fede personale all’esperienza e alla fede comunitaria, ecclesiale.

È solo nell’inserimento reale nella comunità che la loro fede sarà piena, anche se dovranno prima accogliere il dono degli altri: «gli Undici e gli altri che erano con loro dicevano:Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”» (Lc 24,34).

Riconoscere nella fede il Signore Risorto crea sempre relazione e comunione: trasforma le persone, i legami e la convivenza umana.

Don Momigli

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