XXI Domenica Tempo Ordinario Anno B: Gs 24,1-2.15-17.18 Sal 33 Ef 5,21-32 Gv 6,60-69
Quando ci troviamo all’inizio di una nuova fase della vita o quando siamo posti di fronte a domande e situazioni che interrogano il senso del nostro essere nel mondo, siamo chiamati a compiere scelte significative, rimettendo a fuoco il fondamento e l’orizzonte del nostro cammino.
In quest’ottica possiamo interpretare anche la domanda che Giosuè pone al popolo prima di entrare nella terra promessa: una volta entrati, vi conformerete agli dei del paese oppure rimanete fedeli al Signore? (cfr Gs 24,1ss).
Facendo memoria di quanto il Signore ha operato per rendere loro e i loro padri liberi dalla schiavitù dell’Egitto, il popolo risponde a una sola voce: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi!» (Gs 24,16). Come dire: il Signore ci ha liberati e vogliamo rimanere liberi.
Gesù, invece, registra reazioni diverse. Alla fine del lungo discorso sul pane di vita fatto dopo il segno del pane e dei pesci, molti discepoli lo abbandonano, ritenendo una provocazione insostenibile quello che lui ha detto: «Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,68).
Ad andarsene non è la folla, non sono persone capitate per caso o gente che ascoltava Gesù saltuariamente, ma coloro che lo seguivano, attratti dalle sue parole e dai suoi gesti.
Se ne vanno non perché Gesù ha chiesto una morale nuova e più esigente, ma perché ha proposto una visione rivoluzionaria e chiesto una fede che potremmo definire sovversiva: io sono il pane di Dio; io trasmetto la vita di Dio; la mia carne dà la vita al mondo; come sono unito al Padre, sarete uniti a me.
Non se ne vanno perché non hanno capito il discorso di Gesù, ma perché lo hanno capito bene e non lo accettano giudicandolo troppo duro (cfr Gv 6,60).
La parola usata dall’evangelista è skleros, che non si usa per indicare una cosa che sappiamo essere dura, come può essere una pietra, ma quando si verifica che è dura una cosa che si pensava non lo fosse.
Come se dicessero: caro Gesù, con il tuo discorso ci chiedi di cambiare le nostre aspettative, i motivi che ci hanno mosso a seguirti, ma questo per noi è troppo duro.
Gesù vuole realizzare un cambiamento nelle persone che si uniscono a lui e che si cibano di lui: chi mangia Gesù, pane di vita donato, diventa anche lui dono. Se quel pane che Gesù offre è per la vita, significa che tornare indietro conduce alla morte.
La decisione di seguire Gesù deve essere accompagnata dalla disponibilità ad accogliere lo svelarsi di Dio nella storia e a lasciarsi trasformare il cuore e la mente. Altrimenti ci si ferma prima di accoglierlo, come hanno fatto coloro che hanno smesso di andare con lui.
Tornare indietro vuol dire non arrivare mai ad amare. Si arriva ad amare, infatti, solo quando abbiamo il coraggio di non indietreggiare davanti alla complessità e alla durezza delle esigenze della relazione.
Come avviene spesso nella nostra vita, compresa quella sociale e politica, piuttosto che rischiare per un progetto a lungo termine e che chiede fatica, ma che può dare una nuova stabilità alla vita, anche comunitaria, si preferiscono parole che nell’immediato danno il sapore sufficiente per illudersi di stare bene, anche se sono parole superficiali, false e ingannevoli.
Così hanno fatto i discepoli che se ne vanno: anziché mettere in discussione le proprie visioni e le proprie aspettative sulla parola di Gesù, rimangono legati al loro sentire e al loro pensare.
Gesù guarda con dispiacere i discepoli che se ne vanno, come appare più evidente dalla traduzione letterale di quello che dice rivolgendosi ai dodici: “Non è che anche voi volete andarvene?” (Gv 6,67).
I dodici, pur registrando la durezza delle parole di Gesù, non gli voltano le spalle ma decidono di continuare con lui, perché sentono e sanno che solo lui rende viva la vita. E Simon Pietro, rispondendo alla provocazione di Gesù, s’infiamma di zelo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68).
Quando la relazione con Gesù diventa dura, faticosa, impegnativa, significa che, come per i discepoli, anche per noi è giunto il momento della verità.
In questi momenti emerge se il nostro cuore è aperto all’ascolto e all’accoglienza della novità di Dio, anche se dura, o si allontana da lui. Oppure, peggio ancora, coltiviamo l’illusione di seguire Gesù continuando nelle cose di sempre, che soffocano la bellezza e le gioie della vita e impediscono l’esplosione della scintilla di eternità che Dio ha messo dentro di noi.