XXIV domenica Tempo Ordinario Anno A: Sir 27,33-28,9 Sal 102 Rm 14,7-9 Mt 18,21-35
Le parole pronunciate da Gesù sull’importanza di non perdere il fratello che commette una colpa contro di noi, ascoltate domenica scorsa, suscitano in Pietro una domanda sulla misura del perdono – dovrò perdonare «Fino a sette volte?» (Mt 18,21) – alla quale Gesù risponde dilatando all’infinito questa misura: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22).
Le parole di Gesù presentano il perdono come grande novità evangelica, come principio e norma dei rapporti interpersonali.
Come tutti ben sappiamo, perdonare non è spontaneo, né immediato, né facile. Gesù, che ci conosce, sa bene quanto costa all’animo umano un gesto o una parola di misericordia da parte di chi è stato vittima di calunnia, d’ingiustizia, di un tradimento; per chi è stato toccato nella sua reputazione o nei suoi sentimenti.
Eppure Gesù, a tutti quelli che hanno deciso di seguirlo, chiede di perdonare e di perdonare sempre. Perché il perdono non è un atto legato a una particolare situazione, ma una dinamica, una modalità di vita del discepolo consapevole di essere lui stesso continuamente perdonato.
Per entrare gradualmente nel mistero del perdono, che è anche frutto di una modalità con cui vediamo le persone e le situazioni, può essere utile leggere la parabola che il vangelo ci presenta partendo dalla seconda scena.
Guardando l’atteggiamento del servo-creditore nei confronti del servo-debitore, saremmo portati a ritenerlo sostanzialmente giusto, anche se un po’ esagerato: ha un credito e fa di tutto per riscuoterlo.
Quel che è avvenuto prima, però, cambia la prospettiva. Letto alla luce del condono del debito smisurato ricevuto dal padrone, l’atteggiamento di questo servo, nei confronti dell’altro servo, appare chiaramente ingiusto.
Questa seconda scena, letta alla luce della prima, fotografa la piccolezza del cuore di quest’uomo, che non è stato toccato dal grandissimo dono ricevuto. Sembra avere dimenticato tutto. Non si accorge nemmeno che la preghiera che gli rivolge il suo debitore è la stessa che lui ha rivolto al suo creditore – «abbi pazienza con me» (Mt 18,26.29) – e agisce con durezza verso quest’uomo, gettandolo in prigione per pochi spiccioli.
Un primo insegnamento di questa parabola è dato dal verificare il nostro atteggiamento con gli altri avendo davanti a noi il perdono che riceviamo continuamente da Dio.
La finale della parabola sembra narrare il trionfo della logica umana e il fallimento della misericordia di Dio: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35). Come dire: la tua vita è nelle mani della tua libertà, delle scelte che compi; se non vivi la misericordia subentra la giustizia e se nessuno, per motivi diversi, può ritenersi giusto. Va anche tenuto presente che la giustizia non basta a renderci persone nuove.
La seconda e la terza scena rappresentano un monito. Ci invitano a verificare se e quanto fatichiamo a perdonare; se, come quel servo, non riusciamo nemmeno a comprendere ciò che abbiamo ricevuto e, quindi, siamo incapaci di restituirlo con la stessa gratuità.
La parabola ci ricorda che siamo anche chiamati ad essere come quei servi, compagni degli altri due, che si accorgono dell’ingiustizia, ne rimangono indignati e dispiaciuti, e si prendono a cuore la sorte del servo che subisce quello che appare un torto alla luce di quanto l’altro servo aveva ricevuto dal padrone.
Il perdono è una missione e una responsabilità; un cammino non scontato, a volte difficile, verso la libertà.
Nel perdono, che va oltre la giustizia o il rispetto delle regole, è implicito il dono di una nuova possibilità di vita, per chi lo riceve e per chi lo dà, perché libera dal rancore e dona pace.
Dall’intera parabola emerge con chiarezza una indissolubile dinamica tra il rapporto di gratitudine verso Dio e il perdono verso gli altri. Il rapporto con Dio, infatti, si manifesta nel perdono ricevuto, accolto e accordato agli altri.
Il perdono è uno dei luoghi della rivelazione di Dio che opera attraverso di noi e allo stesso tempo rappresenta anche un giudizio, uno sguardo di verità su di noi stessi.