Sesta domenica Per Annum A: Sir 15,16-21 Sal 118 1Cor 2,6-10 Mt 5,17-37
La vita ci mette continuamente davanti alla necessità di compiere scelte. Piccole o grandi che siano, le decisioni che prendiamo dicono sempre qualcosa di noi, rivelano la direzione che abbiamo preso e qual è la nostra meta.
Avere una meta è necessario per darsi dei criteri di giudizio e per valutare compiutamente il senso delle scelte che compiamo ogni giorno.
La prima lettura di questa domenica ci ricorda che davanti a ciascuno di noi «stanno la vita e la morte, il bene e il male» (Sir 15,17). Il vangelo, invece, ci mette davanti all’atteggiamento paterno di Dio, che educa attraverso parole che pongono confini e vanno al senso profondo delle cose, per condurci sulla via della vita.
Sappiamo bene che il compito di un genitore, formatore, educatore, è quello di aiutare a crescere e a interagire positivamente con gli altri e col contesto nel quale siamo inseriti.
Sappiamo altrettanto bene quanta fatica costa mettere regole e dire dei no. Spesso abbiamo paura di perdere l’affetto o di ferire e preferiamo l’apprezzamento immediato, pur sapendo che l’assenza di regole è un tradimento al compito di aiutare a crescere e a quello di farlo insieme.
Una regola, ben motivata, aiuta a capire che nessuno di noi è tutto: abbiamo dei confini, dei limiti, per poter essere quel che siamo e per vivere positivamente le nostre relazioni.
In quello che, a partire da sant’Agostino, siamo abituati a definire il discorso della montagna, con il quale Gesù ci fornisce le indicazioni necessarie per essere cittadini del Regno dei cieli, partendo dal saper vivere la nostra cittadinanza terrena.
La liturgia ci propone questo discorso in varie domeniche, sezionato in piccoli brani e si può correre il rischio di perdere il respiro unitario del discorso. Pertanto, più che fermarsi sulle singole affermazioni, può essere utile cercare di comprendere il senso della legge superiore, diversa da quella degli scribi e dei farisei, che Gesù propone al discepolo del Regno dei cieli (cfr. Mt 5,20).
Gesù viene a “compiere” la Legge, a darle un’anima, un significato, a trasformarla da legame che opprime e blocca a sostegno che fortifica e fa camminare.
La Parola di Dio è pronunciata per aiutarci a vivere, non per tenerci repressi e frustrati. La giustizia del discepolo, ad esempio, non deve essere motivata dalla paura della condanna. Non si può certamente amare e vivere una vita piena se siamo spinti dal senso di colpa, dal dovere o dalla paura.
La novità di Gesù riempie di desideri nuovi e grandi il nostro cuore. Irrompe in quel che già c’è e lo riempie di senso, lo porta a compimento, trasformando le azioni delle persone in relazioni con gli altri, insegnando a vedere negli altri non oggetti da possedere e su cui prevalere, ma soggetti da curare, custodire e amare.
La parola di Gesù, e quindi la nostra fede, parte da quello che siamo, dalla storia che abbiamo, dalle abitudini in cui siamo stati educati, dalle abilità che abbiamo acquisito, dalle cose che abbiamo imparato: con la sua forza vivificante impedisce di rimanere in superficie, di fermarsi all’esteriorità.
Gesù ci dice che non basta non uccidere. Ci chiede di vegliare sui sentimenti del cuore per bloccare l’ira appena la sentiamo sorgere dentro, fermare la parola offensiva appena arriva sulle labbra, frenare l’impulso di rivalità e di vendetta, perché quei germi cattivi fanno del male prima di tutto a noi stessi, mettendo in gabbia il nostro cuore e impedendoci di vedere nell’altro un fratello e una sorella, vulnerabile e contraddittorio come lo siamo noi.
Gesù non dice se tu desideri una donna, ma se la guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, sedurre e possedere, riduci la persona a oggetto, calpestandone la sua grandezza.
La radicalità del discorso di Gesù, con tutte le sue antitesi – fu detto… ma io vi dico – non sta tanto nella norma, ma nell’intenzione, nell’approccio, nell’atteggiamento che assumiamo verso gli altri.
La parola di Gesù è una parola che aiuta a crescere, che sostiene il nostro cammino di promozione e quello degli altri, mediante una condotta intessuta di possibilità di vita e la capacità di vivere relazioni vere.