III Domenica di Avvento Anno C: Sof 3,14-18 Is 12 Fil 4,4-7 Lc 3,10-18
Scossa dalle vibranti parole che escono dalla sua bocca, la gente domanda a Giovanni: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10).
Spesso, anche noi ci poniamo la stessa domanda, quando tentiamo di riprendere la vita nelle nostre mani o nei tentativi di essere cristiani migliori.
La risposta di Giovanni, pur diversificata in relazione alle differenti categorie di persone, è semplicissima e vale anche per noi: vivi onestamente; condividi quello che hai; svolgi il tuo lavoro con responsabilità professionale.
Nessuna condizione è senza speranza. Se non possiamo cambiare le nostre situazioni, possiamo sempre trasformare il modo con cui le viviamo.
Del resto, per rendere il mondo diverso e migliore basterebbe fare un po’ di giustizia, riconoscere i bisogni delle persone attorno a noi, condividere una parte di quel che abbiamo.
I comportamenti chiesti da Giovanni rappresentano una rivoluzione, in rapporto ai comportamenti personali e sociali del suo tempo e anche a quelli di oggi.
Ma nella visione del Cristo che viene del suo vangelo rappresentano solo un primo passo, perché la sua richiesta è ben più radicale: «vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri … vieni! Seguimi!» (Lc 18,22).
Se ci limitiamo alla sola etica e alla formale osservanza dei comandamenti, rischiamo di svuotare il vangelo della sua carica trasformante e di sterilizzarlo del suo fascino.
Guardando onestamente dentro di noi, comprendiamo che non ci basta sapere che cosa fare. Il cuore non si accontenta delle indicazioni di comportamento.
Gesù propone, offre e chiede molto di più di un semplice fare il bene. A tutti e a ciascuno, infatti, non chiede solo cose da fare o comportamenti da assumere, ma consegna un compito esistenziale.
Riconoscere il compito che il Signore ci affida permette di dare senso alla vita e consente di vivere la vita con gioia, anche nelle difficoltà.
Come le strade che prendiamo nei nostri spostamenti trovano senso in relazione alla meta che vogliamo raggiungere, le domande su cosa dobbiamo fare, trovano la loro giusta dimensione, solo quando hanno nello sfondo il compito a noi affidato.
Il nostro cuore cerca una pienezza che non può trovare nelle semplici e sole emozioni e gratificazioni del nostro fare buone cose, e neppure nei surrogati che chiamiamo amore ma che sono ben altro. Soprattutto sono ben altro da quell’Amore e da quella gioia che ci dona il Signore che viene.
Incontrare il vero amore umano è importante: è segno e immagine di Dio e del suo Amore. Più nel profondo, però, il nostro cuore attende, magari inconsapevolmente, colui di cui parla la prima lettura: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,18).
Questa è davvero la Buona Notizia attesa: Dio esulta di gioia per me; nel Verbo che si è fatto carne mi rinnova con il suo amore.
Comprendiamo, allora, perché l’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Filippi li esorta con queste parole: «siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4).
Questa terza domenica di Avvento viene definita in Laetare (siate lieti), proprio perché il motivo della nostra gioia non si fonda sul fatto che le cose vanno o andranno bene, né sulle cose che facciamo, ma si fonda “nel Signore”, sul fatto che il Cristo che viene è più forte e ed è oltre ogni realtà umana e che battezza «in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,17).
Gesù di Nazareth è colui nel quale e attraverso il quale, il giorno di Natale, ha cominciato a manifestarsi a noi la pienezza della divinità, la pienezza di quell’Amore nel quale possiamo davvero gioire.
L’evangelista annota che «Il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo» (Lc 3,15).
Anche noi siamo in attesa, ma a differenza della gente che andava nel deserto ad ascoltare Giovanni, difficilmente troveremo qualcuno che, come il Battista, ha così tanto a amore per la verità e per la salvezza delle persone, da distogliere l’attenzione da sé stesso, per farci guardare al vero salvatore.
Però, sempre a differenza della gente che andava da Giovanni, possiamo ben riconoscere l’amore e la gioia che ci comunica solo la presenza e l’accoglienza di Cristo salvatore.
E sappiamo pure che l’attesa del Signore non ha niente a che vedere con la passività: il Cristo che viene esige una risposta attiva e consapevole e richiede una continua e sempre nuova conversione.