Don Giovanni Momigli

Schema Omelia domenica 1 agosto 2021

XVIII Domenica Tempo Ordinario Anno B: Es 16,2-4.12-15   Sal 77   Ef 4,17.20-24   Gv 6,24-35

La gente si mette alla ricerca di Gesù, non per un vero incontro con lui e per accogliere quella pienezza di vita che lui offre, ma per soddisfare bisogni puramente umani, anche se importanti. La gente accorre, affrontando il viaggio in mare, perché è stata saziata con i pani e i pesci.

Il verbo greco usato da Giovanni per indicare la ricerca della folla, zeteo, mette l’accento proprio su un cercare per scopi già definiti.

L’evangelista Giovanni usa questo verbo anche per indicare la ricerca di Maria di Magdala (Gv 20, 15), che una volta trovato Gesù vorrebbe trattenerlo per sé stessa, e quella delle autorità, che vogliono prendere Gesù per ucciderlo (Gv 10,39).

Un vero incontro con Gesù non può avvenire se andiamo a lui come qualcosa di esterno a noi. L’incontro con Gesù è vero se avviene nel profondo di noi stessi, se siamo disponibili a lasciare che questo incontro trasformi il nostro modo di pensare, di credere e di vivere

Il desiderio del sacro, il bisogno di soddisfare il nostro sentimento religioso, il volere a tutti costi rimanere ancorati alla visione di Dio e del mondo che già abbiamo, non aiutano l’incontro con Gesù, ma rappresentano un impedimento e rischiano di trasformare Gesù in un oggetto di culto. Anche da adorare, ma di fatto ininfluente sul nostro sentire, pensare, vivere.

Gesù opera dei segni perché ci interroghiamo e ci apriamo alla rivelazione della sua identità, di quella di Dio come Padre e anche della nostra. Come dice il concilio, Gesù «rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS, 22).

Gesù, presentandosi come nutrimento, come cibo di vita, scava dentro di noi, cambiando la nostra vita, generando comunione e trasfigurando le relazioni.

Gesù è pane che nutre, non la vita biologica, ma quella divina; nutre la vita filiale che ci è stata donata. Siamo resi figli nel Figlio Gesù. La vita filiale nessuno può darsela da sé stesso, neppure rimanendo in ginocchio, in preghiera, giorno e notte, né facendo le migliori opere possibili. Si è figli se qualcuno ci genera.

Il primo passo da fare è purificare le nostre attese, i motivi della nostra ricerca e anche il senso delle nostre pratiche religiose. Una purificazione che va fatta costantemente, interrogando Gesù e ascoltando la sua parola.

La folla, inizialmente, sembra capire il ragionamento di Gesù e domanda: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (Gv 6,28).

Ma ancora pensano alle opere di Dio con schemi umani. L’opera di Dio, non è qualcosa di umanamente determinabile e misurabile. Riguarda l’essenza della vita e non può essere identificata in nessuna azione, neppure in una qualche pratica religiosa.

Non si tratta di pensare cosa fare per piacere a Dio, come troppo spesso facciamo. Non siamo noi che, compiendo qualcosa, ci avviciniamo a Dio o lo rendiamo benevolo verso di noi. È Dio che in Cristo ci è venuto incontro fino a diventare nutrimento di quella vita divina che ci è data in dono.

Il Dio di Gesù Cristo non domanda, ma dona. Non dona cose o i beni: «non può dare nulla di meno di sé stesso. Ma dandoci sé stesso ci dà tutto» (Caterina da Siena).

Nessun approccio astratto, ideologico, moralistico o cultuale può arrivare al cuore della vera questione spirituale posta da Gesù.

Alla domanda su cosa dobbiamo fare per compiere l’opera di Dio, Gesù non ci indica delle azioni da fare, ma chiede di credere in lui.

Credere in Gesù, e vivere una feconda relazione con lui, ci nutre, ci fa vivere, ci fa crescere, ci rende e ci fa sentire liberi. Credere significa affidarsi a lui certi che è la sua azione nella nostra vita che ci salva e non le azioni da noi compiute.

Se la nostra vita interiore la nutriamo di Cristo, la nostra fede è viva e si esprime nella concretezza della vita. Se invece non la nutriamo di Cristo, la fede sfuma nell’insignificanza, fino a scomparire: «la fede senza le opere è morta» (Gc 2,26).

Le opere della fede, però, non sono relative al culto, ma sono quelle che contribuiscono a rendere la vita su questa terra sempre più umana.

Se, come la folla di cui parla il vangelo, cerchiamo Gesù con le nostre visioni umane, senza la disponibilità a farci trasformare da lui, come gli Israeliti saremo persone della mormorazione (cfr Es 16,2); persone che pongono al centro se stesse anche se sulla bocca hanno il nome di Dio. E, quando si pone al centro se stessi, anziché interrogarci su cosa il Signore vuole dirci inviando sulla nostra strada determinate persone, ci eserciteremo solo nell’arte della critica distruttiva.

Quando il centro siamo noi, con la nostra chiusa e inossidabile mentalità, rimaniamo incapaci di relazioni pienamente umane, ci comportiamo «come i pagani con i loro vani pensieri» (Ef 4,17) e non riusciamo a rinnovarci nello spirito della nostra mente per «rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (Ef 4,24).

Don Momigli

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