Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria: Gen 3,9-15.20 Sal 97 Ef 1,3-6.11-12 Lc 1,26-38
La fiducia e una corretta valutazione di sé stessi sono determinanti per la qualità e la stabilità delle relazioni e per vivere positivamente la propria esistenza su questa terra.
Dalla superbia e dalla mancanza di fiducia, invece, nasce il peccato: criteri di giudizio errati e prospettive esistenziali sbagliate, che causano dolorosi fallimenti personali e comunitari, come descrive il terzo capitolo del libro della Genesi.
Il serpente, dialogando con la donna, insinua in lei proprio il tarlo del dubbio e alimenta la sua superbia, portando la prima coppia alla decisione di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, di cui Dio aveva comandato di non mangiare: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio» (Gen 3,5).
Una volta che il tarlo del dubbio si è infiltrato, tutte le relazioni si inquinano e giungono alla rottura. E si arriva ad accusarci l’uno l’altro, come abbiamo ascoltato nel brano della Genesi che la liturgia di questa solennità ci propone come prima lettura.
La risposta dell’uomo alla chiamata di Dio che lo sta cercando – «Dove sei?» (Gen 3,9) – dimostra come superbia e mancanza di fiducia portano l’essere umano a sperimentare la sua strutturale fragilità in modo drammatico e a fuggire pensando di salvarsi: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10).
Con la superbia e la perdita della fiducia in Dio l’essere umano smarrisce anche sé stesso. Ma Dio non perde la fiducia nella sua creatura e gli offre la possibilità di un nuovo inizio, pur travagliato, e promette la vittoria finale sul serpente ingannatore.
La rottura delle relazioni causata dal peccato si manifesta nella sua pesante gravità, soprattutto se la guardiamo alla luce del disegno originario di Dio, che, a grandi pennellate, viene presentato nella seconda lettura (Ef 1,3-6.11-12).
La creazione è descritta come una cascata di benedizioni, che trova il suo vertice e la sua sintesi in Cristo, luminoso paradigma di ciò che siamo chiamati a diventare. In Cristo, Dio ci ha scelti prima ancora che esistesse il mondo, per vivere nell’amore che lui ha per noi e nel nostro amore che accoglie il suo e vi risponde.
Il racconto della Genesi e l’inno della lettera agli Efesini, fanno assumere alla celebrazione dell’Immacolata Concezione di Maria un significato profondo, stimolante e molto attuale.
Quella della prima coppia e quella di Maria sono due storie che, partendo entrambe dalla comunione col Signore, arrivano a esiti opposti, per il modo diverso con cui si pongono di fronte a Dio e alla vita.
La prima coppia coltiva il proprio orgoglio, volendo diventare come Dio, dubitando della sua parola e ponendosi contro di lui. Maria, invece, non coltiva dentro di sé nessuna forma di superbia, si fida di Dio e si mette fiduciosamente nelle sue mani: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
La solennità dell’Immacolata, dunque, ci presenta due modi possibili di vivere e di intendere la libertà, che nascono dal modo con cui si concepisce sé stessi e gli altri e dall’immagine che si ha di Dio.
Ci si può superbamente considerare più di quello che siamo, impostando in modo strumentale e funzionale le nostre relazioni. E si può essere consapevoli del nostro valore, senza però trascurare la fragilità della condizione umana e la necessità di camminare insieme, sapendo che nessuno si realizza e si salva da solo.
Due modi di vedere Dio, sé stessi e il mondo, frutto dell’ambito culturale in cui viviamo e del cammino interiore fatto.
Il racconto dell’annunciazione che l’evangelista ci presenta non è la registrazione di una conversazione, ma la costruzione di un breve dialogo che riassume il percorso interiore di Maria, che probabilmente è durato anni e che poi continua per l’intera sua vita, anche dopo essere divenuta la madre del Signore.
Una chiamata comporta sempre un dialogo. Maria non è una donna che accetta tutto ad occhi chiusi: non vive la fede senza riflessione. Vuole capire, farsene una ragione, penetrare il significato delle parole che l’angelo le rivolge.
A Maria, come anche a ciascuno di noi, non è chiesto di confidare nelle proprie forze, nelle proprie energie, facendo leva sulla sua volontà, ma di fare della propria vita una risposta di fede, confidando nella grazia di Dio (Lc 1,30).
Maria, con il sì dell’intera sua vita, dimostra che la libertà vissuta come risposta, come adesione a un progetto di vita, è libertà che conduce alla pienezza. E Dio ha progetti di pienezza per la vita di ciascuno di noi.