Solennità di Maria Madre di Dio – Te Deum di ringraziamento anno 2022: Nm 6, 22-27 Sal 66 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21
La liturgia della Parola di questa solennità inizia con parole di benedizione. Dio stesso chiede che i sacerdoti benedicano il popolo (cfr Nm 6,22). Portare al popolo la benedizione di Dio non è un semplice invito, ma una richiesta ben precisa fatta da Dio stesso.
Benedire e benedizione sono termini che, nella Bibbia, ricorrono frequentemente. Fin dall’inizio Dio benedice le sue creature: gli esseri viventi perché siano fecondi e si moltiplichino (cfr Gen 1,22), l’uomo e la donna perché dominino su tutto il creato (cfr Gen 1,28) e il sabato, segno del riposo e della gioia senza fine (cfr Gen 2,3).
Abbiamo bisogno di sentirci benedetti da Dio e dai fratelli, perché la benedizione – dire del bene – avvicina, rafforza la solidarietà, infonde fiducia e speranza e suscita gratitudine.
Ed è proprio la gratitudine che caratterizza questo nostro convenire a conclusione di un altro anno della nostra vita e della storia del mondo. Gratitudine espressa con il rendimento di grazie per eccellenza, che è l’eucaristia, ed espressa anche col tradizionale canto del Te Deum.
L’intera vicenda umana, personale e comunitaria, è sempre disseminata di avvenimenti lieti e intrisa di eventi e di storie di sofferenza.
Il 2022, che si sta concludendo, è stato caratterizzato da problemi vecchi e nuovi, che conosciamo bene e che sentiamo sulla nostra pelle. Basta pensare ad esempio, alla mancanza di rispetto per i diritti e la dignità di tutti, al diffondersi dalle ingiustizie, al crescere delle disuguaglianze, alle sofferenze umane legate ai movimenti migratori, gli effetti della pandemia e la guerra della Russia all’Ucraina.
Alla fine di un anno di solito si fanno bilanci. Ritengo, tuttavia, che la vita più che bilanci segnati da dare e avere, richieda memoria e speranza, per cercare di cogliere il senso profondo di ciò che è stato e per capire come rispondere alle sfide presenti per costruire un mondo più umano.
La Parola di Dio ci chiede di continuare a contemplare il Verbo che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1.14) e che è luce vera per illuminare tutte le genti. Ma ci chiede di farlo con l’atteggiamento di Maria, custodendo gli avvenimenti del Natale meditandoli nel nostro cuore (cfr Lc 2,19).
Il meditare di Maria non significa semplicemente “tenere a mente”, ricordare gli accadimenti senza dimenticare alcun particolare.
Con la sua notazione, l’evangelista Luca intende dire che Maria mette insieme i fatti, per collegarli tra loro, per coglierne il senso, scoprire il filo conduttore, contemplare il realizzarsi del progetto di Dio.
Maria meditava, osservava con occhio attento ogni avvenimento, per non lasciarsi condizionare dalle idee, dalle convinzioni, dalle tradizioni del suo popolo, per essere recettiva e preparata alle sorprese di Dio, che fa sempre cose nuove.
La memoria, intesa come osservazione e ascolto degli eventi e riflessione su di essi, apre alla speranza, perché porta a comprendere che quel che avviene non è lasciato al caso e che non è neppure frutto di una sorta di algoritmo che tende a riprodurre le cose sulla base di quanto già conosciuto.
La storia è data da due libertà e due protagonismi che si incontrano: quella di Dio creatore e quella della persona umana, creatura amata da Dio, fino a dare il proprio Figlio per la sua salvezza.
Se lo scorrere del tempo ci induce a riflettere con serietà e a non rinviare le scelte decisive, come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo, contemplare il mistero dell’incarnazione ci fa sentire amati e ci illumina nelle decisioni che siamo chiamati a prendere.
Stasera rendiamo grazie a Dio per averci accompagnato con il suo amore anche nell’anno che si chiude; per essere stato presente in ogni nostra vicenda personale e comunitaria con la forza della sua presenza e della sua consolazione.
La gratitudine, come abbiamo visto, non è un atteggiamento isolato: presuppone la capacità di meditare sugli eventi e conduce a scegliere con fiduciosa determinazione, sapendo che il Signore è con noi e con noi cammina sulle strade del mondo e della storia.
Come ormai tutti sanno, oggi è morto il papa emerito Benedetto XVI. Per lui preghiamo il Signore della vita e della storia che lo accolga nella luce del suo volto.
Nel giorno della sua morte, voglio concludere questa omelia con le significative parole da lui pronunciate il 31 dicembre 2012, un mese e mezzo prima della sua storica rinuncia al papato: «Il Te Deum che innalziamo al Signore questa sera, al termine di un anno solare, è un inno di ringraziamento che si apre con la lode – «Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore» – e termina con una professione di fiducia – «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». Quale che sia stato l’andamento dell’anno, facile o difficile, sterile o ricco di frutti, noi rendiamo grazie a Dio. Nel Te Deum, infatti, è contenuta una saggezza profonda, quella saggezza che ci fa dire che, nonostante tutto, c’è del bene nel mondo, e questo bene è destinato a vincere grazie a Dio, il Dio di Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto».