Solennità del Corpus Domini: Es 24,3-8 Sal 115 Eb 9,11-15 Mc 14,12-16.22-26
«Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». L’accostamento del verbo “mangiare” alla festa che ricorda la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, si riferisce certamente al fatto che, in quella notte, si consumava l’agnello.
Quando Gesù prende il pane, lo spezza, lo dà ai suoi discepoli e con quel pane si identifica, mangiare la Pasqua cambia significato. Mangiare l’agnello pasquale ora significa nutrirsi di Cristo, della sua parola, della sua stessa vita.
Gesù non chiede agli apostoli di adorare, di contemplare, di venerare quel pane spezzato. Ma chiede che vanga preso dalle nostre mani come dono per essere mangiato come nutrimento di vita e di comunione: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56)
Mangiare la Pasqua, mangiare il corpo di Cristo, rigenera la vita. Ci sostiene e ci introduce nella profondità e stabilità della relazione con lui e predispone il nostro animo alla relazione fraterna con gli altri.
Nella vita e per la vita, una relazione vera è fondamentale come il pane quotidiano. Le relazioni vere nutrono, fanno crescere, danno sapore ai nostri giorni.
Durante la cena, mentre parla ai suoi discepoli dell’amore del Padre e del suo amore per loro, che arriva fino alla morte di croce, Gesù dà il suo corpo come cibo: «Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14,22).
Quello che vivono i discepoli non è solo un momento conviviale, ma esperienza di amore, di donazione e di comunione. Gesù che dona la sua vita è la sorgente che rende possibile l’amore e rende forte la comunione.
È dentro il mistero di questa cena, sacramentalmente attualizza nella celebrazione eucaristica, che troviamo la misericordia che ci avvolge e il cibo che fa vivere e rende davvero capaci di amare.
Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato ci dice che la celebrazione della Pasqua non si improvvisa: occorre preparare per mangiare la Pasqua.
È necessario preparare il nostro spirito per mangiare il corpo di Cristo. L’Eucaristia è un dono al quale ci si deve predisporre per essere vissuto e prendere coscienza della grandezza del mistero che celebriamo.
L’Eucaristia è un mistero che per essere celebrato e accolto, domanda un approfondimento contemplativo, anche in questa nostra epoca nella quale l’immediato, il ‘qui e ora’, sembrano addirittura essere una conquista sociale..
Cibarsi del corpo di Cristo ci impegna e coinvolge tutta la nostra vita. Come ci ricorda la prima lettura, proponendoci quello che il popolo dice dopo aver sentito le parole del Signore riportate da Mosé: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!» (Es 24,7b).
A causa della cultura dell’immediato e dell’apparenza, che ci contraddistingue e che porta a evitare ogni impegno stabile, definitivo, oggi, si rischia di perdere la capacità di assumere impegni autentici nei confronti degli altri, ma anche nei confronti di Dio,
Preferiamo impegni a breve termine, perché alla fine quello che ci interessa di più è il nostro benessere momentaneo, quello che fa stare bene adesso. Il criterio di valutazione sono io nell’oggi.
Una vita spesa per un ideale, per un valore o per una persona è vista come una vita sacrificata, nel senso di una vita buttata via.
Il valore che diamo alle persone e alle cose, però, si misura proprio su quanto siamo disposti a spenderci, a rischiare, non solo nell’immediato, ma anche a lungo termine, magari per sempre.
Il Signore Gesù ha donato totalmente sé stesso, impegnandosi con noi per l’eternità. Nutrirsi del suo corpo, ma anche adorarlo presente nel pane eucaristico, pertanto, provoca e giudica ogni nostro pensare, ogni nostro sentire e ogni nostro agire centrato su noi stessi e chiuso nel solo presente.
Quest’anno, per i limiti prudenziali per evitare il contagio del virus, non possiamo fare la processione eucaristica. L’eucaristia, però, ci spinge sempre a uscire con Gesù, ad andare dove lui già ci precede, per farsi compagni di strada dei fratelli in spirito di dono, di comunione e di servizio.