Signore Gesù,
guardando il presepe allestito da poco, mi soffermo sulla mangiatoia ancora vuota e penso all’enorme distanza tra il modo di pensare e lo stile di vita che ci caratterizza in questo nostro tempo e il cammino spirituale di attesa, speranza e conversione proposto dal tempo di’Avvento, per vivere fruttuosamente il tuo Natale.
Il clima culturale che ci avvolge e condiziona, sembra appiattire tutto sul presente, svuotando di senso ogni prospettiva e ogni attesa, sterilizzando la speranza nel suo essere nutrimento creativo e proiezione di futuro.
Dall’ambito familiare a quello sociale e politico, le responsabilità sono ricercate sempre e solo fuori di noi e l’agire è mosso prevalentemente da un antagonismo conflittuale e miope, incapace di interpretare le dinamiche del presente e di immaginare il futuro con paradigmi e visioni nuove e più umane.
Con il tuo volto di Bambino, sul quale risplende l’amore e la tenerezza del Padre, cerchi il volto di ciascuno, per vivere con ognuno e con tutti un rapporto personale e comunitario.
Assumendo la nostra umanità, ci dici che una vita nuova è possibile proprio riscoprendo la concretezza di ogni volto, la ricchezza della relazione, il valore della fraternità solidale, liberandoci dalla crescente e inquietante litigiosità, dal costante degrado dei rapporti e dall’anonimo incasellamento delle persone in categorie astratte o ideologiche, in numeri di statistica e in percentuali di sondaggio.
Caro Gesù, tu ci cerchi dove siamo e come siamo. Non vieni per le nostre doti e a contare i nostri successi, ma a sanare le nostre ferite, a colmare la nostra pochezza, a testimoniare che la pienezza si trova e si realizza nell’amore.
Contemplando la mangiatoia dove sarai posto, già sento il tuo pianto di neonato che grida: aprimi la porta della tua vita; posso donarti una profonda gioia di vivere, la gioia di uscire dal chiuso soffocante del tuo io e di condividere amore, la gioia di operare per un’umanità migliore, di spenderti per un amore più grande.
Si, vieni Signore Gesù!