Sesta domenica di Pasqua anno C (At 14,21-27 Sal 144 Ap 21,1-5 Gv 13,31-35)
Il comandamento nuovo dell’amore è il grande dono che Gesù fa ai suoi discepoli durante l’ultima cena. I discepoli, però, saranno in grado di comprenderlo solo dopo avere visto come lui ha amato fino alla croce.
È comandamento nuovo non perché mai proclamato o mai ascoltato: l’amore per il prossimo è già presente nell’Antico Testamento.
L’antico comandamento dell’amore diventa nuovo e rinnova, perché Gesù lo fonda sul suo amore per noi: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Il brano del Vangelo che è stato proclamato è la continuazione di quello ascoltato il Giovedì Santo, dove Gesù, lavando i piedi ai discepoli, fa ben capire che amare è mettersi al servizio dell’altro.
La novità di questo comandamento sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, che lo ha portato a dare la vita per noi. Gesù ci chiede di amarci tra noi non solo e non tanto con il nostro amore, ma con il suo amore, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori se lo invochiamo con fede.
Come ha rilevato Benedetto XVI, nell’enciclica Deus caritas est, la novità dell’amore biblico consiste in una nuova immagine di Dio – è Dio di misericordia – e anche in una nuova immagine della persona umana. Il modo di amare di Dio diviene il modello per l’amore dell’uomo. Eros e agape, amore che nasce dal desiderio e amore che nasce dal dono di sé si incontrano. È amore ricevuto e amore donato.
La parola amore è largamente usata e anche abusata, tanto da farci smarrire la sua essenza, anche umana.
L’amore è realtà fragile, dolorosa e può anche portare a vere e proprie deviazioni. Ad esempio, per il cosiddetto amore di patria si possono sterminare interi popoli e culture.
Amare significa accettare l’altra e l’altro nella loro realtà, per quello che ciascuno è. L’amore non è solo sentimento né un moto della semplice buona volontà. Amando si comprende che l’amore è l’unica vera modalità che può costruire un mondo diverso.
L’amore rende vivo anche il fuoco della missione, spinge la chiesa ad andare dappertutto per annunciare il Vangelo, con la consapevolezza che si agisce in una dimensione comunitaria, come testimoniano Paolo e Barnaba alla fine del loro viaggio, narrato dalla prima lettura.
Gesù dona il comandamento nuovo dell’amore rivolgendosi ai discepoli nel contesto dell’ultima cena, sottolineando così con maggior forza che la comunità cristiana, la Chiesa, sarà credibile solo se fondata sull’amore reciproco e se testimonia questo amore.
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13.35): dalla concretezza dell’amore si vede se siamo discepoli di Gesù o solo proclamatori di principi e di dottrina.
La tentazione di sempre è quella di cercare ciò che dobbiamo fare per essere davvero cristiani, per piacere a Gesù, ma Gesù Cristo è venuto a liberarci proprio da questo tipo di mentalità: ci ha dato un comandamento nuovo e una vita nuova, non un nuovo precetto religioso.
Il comandamento nuovo che Gesù dona è la possibilità di amare gli altri in quanto dentro di noi abita lo stesso amore con cui Cristo è stato amato dal Padre e con cui ci ha amati.
Se amore come lui ci ha amato non fosse una cosa possibile Gesù lo avrebbe comandato. Se lo ha comandato significa che vivendo in lui, con lui e per lui possiamo anche amare come lui.
La novità dell’amore si gioca sulla novità con cui viviamo le nostre relazioni. È sulla relazione e non sulla perfezione dell’io che si manifesta l’amore di Dio che ci abita: amare gli altri con l’amore con cui Cristo ci ama. E lui ci ama con l’amore con cui è amato dal Padre.