Don Giovanni Momigli

Saluto da San Donnino 18 giugno 2016

Pur avendo lasciato la parrocchia all’inizio di ottobre, il saluto ufficiale è stato fatto nella Chiesa di Sant’Andrea al termine della santa Messa delle ore 18.00, sabato 18 giugno 2016, dopo la pubblicazione della nomina del nuovo parroco.

Fratelli e Sorelle,

Normalmente, dopo un certo numero di anni è bene che un prete sia chiamato a cambiare parrocchia, a cambiare incarico; è un bene per la comunità ed è un bene per lo stesso prete.

Col tempo, infatti, si rischia di perdere la necessaria spinta propulsiva e quella creatività pastorale sempre necessari, ma indispensabili per vivere quella Chiesa in uscita sollecitata costantemente da Papa Francesco.

Se poi mettiamo in conto che almeno ogni settimana si può scontentare una persona, pensate voi quante sono riuscito a scontentarne in 25 anni!

Certamente il dispiacere c’è. Anche perché negli anni si coltivano relazioni e affetti e perché c’è sempre qualcosa che si pensa di poter ancora fare.

In questi venticinque anni, abbiamo passato insieme momenti difficili per questa frazione, momenti di forte tensione che hanno prodotto forti lacerazioni, ma che hanno anche contribuito a costruire rapporti.

Quel che non sono riuscito ad essere e a dare, per incapacità o superficialità o per qualsiasi altra motivazione, rappresenta un buco nero ed è motivo di povertà per tutti, primariamente per me. E per questo chiedo perdono al Signore, invocando la sua immensa misericordia.

Quello che, invece, abbiamo ricevuto gli uni dagli altri rappresenta una ricchezza che non ci sarà tolta, per la quale non possiamo non rendere grazie al Signore.

A proposito della lettera che alcuni hanno scritto all’arcivescovo, mi sento di dire tre sottolineature:

Prima. Siete stati bravi a tenermela nascosta, a farmela avere solo dopo averla consegnata in curia. Sapete benissimo che queste cose non rientrano nelle corde della mia sensibilità e del mio operare.

Debbo, però, riconoscere che coloro che l’hanno scritta sono stati attenti ad evitare opportunamente le solite lagnanze, che nascono quando un prete lascia la parrocchia. Comunque, se avessi visto la lettera prima, avrei certamente fatto di tutto perché non fosse mandata all’arcivescovo, proprio perché non rientra nel mio stile e perché è troppo generosa nei miei confronti.

Seconda. Debbo confessare che nel leggerla ho pianto, sia per la motivazione che l’ha ispirata, un atto di amore nei miei confronti come si dice in premessa, che per essermi sentito lontano dal prete che nella lettera viene descritto; per essermi sentito molto, molto più piccolo. Magari fossi quel prete che viene presentato nella lettera!

Terzo. Sono rimasto colpito per la chiarezza con la quale siete riusciti ad esprimere quello che ho cercato di trasmettere e che non pensavo di essere riuscito a farlo così bene. Voi dite: “Fare attività per la parrocchia non è mai stato il suo obiettivo, piuttosto ha cercato di arrivare alla comunità mediante la parrocchia”. Davvero non riuscirei ad esprimere meglio quel che ho cercato di fare: porre la comunità cristiana a servizio dell’intera comunità, “come parte viva e attiva della società”, come voi scrivete. Ma – come è ben sottolineato nella lettera – per poterlo fare è necessario lasciarsi attrarre da Cristo, innamorarsi di lui, e partecipare alla vita trinitaria, coltivando anche le relazioni comunitarie che, come dice Papa Francesco, creano ponti e aprono strade.

Sono stato venticinque anni parroco a San Donnino, senza mai chiudermi dentro i confini la parrocchia, né fisicamente, né mentalmente. Anzi, ho cercato di aprire la parrocchia alla realtà diocesana e alla società civile, di cui la parrocchia è parte, di cui la comunità parrocchiale è parte. In questo, mi ha certamente aiutato anche l’essere stato responsabile dell’Ufficio di Pastorale Sociale e Lavoro dal 1993, anno in cui è stato costituito questo Ufficio in diocesi dopo il sinodo diocesano.

Comunque avremo modo di riflettere ulteriormente su queste cose, anche parallelamente alla Mostra fotografica su San Donnino negli ultimi cento anni, che –grazie alle fotografie che ci state facendo avere – allestiremo nella prima decade di luglio fino all’inizio di settembre.

Il Cardinale ha detto che hai chiesto un anno sabbatico. Perché? Dove vai? Cosa vai a fare?

Come dice Papa Francesco, stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, che domanda a tutti di risintonizzarsi con la realtà, anche con la realtà di sé stessi, per scoprire quello che lo Spirito ci domanda, senza rimanere prigionieri delle esperienze, degli schemi e neppure delle idee, pur quando sono importanti.

Nessuna persona è per tutte le stagioni. Neppure un parroco.

Non si può infatti dimenticare che ogni uomo, anche se prete o vescovo o papa, è e rimane uomo. Nessuna persona potrà mai avere la completezza, perché nella nostra unicità siamo parzialità, aperti alla relazione e al divenire, fino alla pienezza dell’eternità.

Anche quelle persone che hanno il dono di caratteristiche speciali, rimangono legate alle loro debolezze e sono collocate nel loro tempo. Può anche darsi che la loro particolarità sia data proprio dall’essere collocati in un determinato luogo e in un determinato tempo.

Il valore delle persone, anche dei parroci, pur nelle loro inevitabili umane contraddizioni, emerge quando riescono a lavorare portando novità anche radicali senza ricercare necessariamente la rottura col passato.

Non si costruisce per negazione, come oggi sembra si voglia fare un po’ in tutti gli ambiti, ma assumendo la realtà che ci è data per quello che essa è, con i sui limiti e le sue potenzialità. Quello che è posto nelle nostre mani non proviene dal nulla, è sempre frutto di una storia che ciascuno è chiamato a continuare a scrivere con la propria personalità e le proprie caratteristiche.

Per meglio spiegarmi userò le parole pronunciate in Santa Maria del Fiore dal Cardinale Giovanni Benelli, il 30 ottobre 1978 nell’omelia della Messa di ringraziamento per l’elezione di Giovanni Paolo II. Parole che ho utilizzato nel 1994 quando mi veniva detto che i preti veri erano diversi da me, per sottolineare che la diversità e l’alternarsi di persone diverse in uno stesso compito sia una ricchezza voluta dallo spirito: “Ci volevano il coraggio e la “sapientia cordis” di Papa Giovanni per mettere in movimento questa meravigliosa macchina (ossia il Concilio, ndr); ma ad un certo momento neppure questi sono più bastati. Ci sono voluti allora la visione universalistica, il rigore dottrinale, l’apertura larga all’umanità e all’umanesimo, la instancabile volontà di riforma senza rotture nell’unità, di Paolo VI, il grande Papa incompreso, il Papa che ha davvero lanciato la Chiesa sulle grandi vie tracciate dal Concilio e l’ha presentata al mondo moderno come segno di speranza; ma ad un certo momento, anche lui non è più bastato. Ci voleva la fugace carezza del Pontificato di Papa Luciani, per far sentire alla gente più vicino e familiare un Papato, che la grandezza di Paolo VI aveva fatto apparire distante; ma anche questo, dopo un mese, aveva già terminato il suo ruolo, peraltro indispensabile, nella dimensione unitaria dell’opera conciliare della Chiesa tesa verso il futuro. Ed ecco Papa Woytila, uomo dalla fede forte e adamantina, di una straordinaria capacità di sopportazione e di sacrificio“.

Questo, per me, valeva nel 1994 e vale ancora oggi.

Ho letto su qualche giornale che avrei scelto di andare a riposarmi. Voi mi avete visto stanco in questo ultimo anno? Non mi sembra di avere bisogno di un riposo speciale, anche se il riposo fa bene a tutti.

La questione è altra. In questi anni a San Donnino ho vissuto una ricca, sfaccettata e complessa esperienza di prete; ho maturato sul campo una singolare esperienza sui processi di intercultura e quelli relativi ai rapporti interreligiosi.

Fra parentesi, a questo proposito riterrei interessante se qualcuno cercasse di leggere con maggiore profondità quanto realmente avvenuto sulla questione dell’immigrazione, a partire dalla prima parte degli anni novanta.

Per mettere in luce, al di là della cronaca, gli elementi portanti di un pensiero e di un’azione. Molte cose sono rimaste inedite, per la loro delicatezza. Penso però che ormai alcune di esse possano pure venire alla luce.

Tornando a quanto detto sopra, prima di accettare un nuovo incarico (come mi era anche stato proposto), ho pensato di dedicare un po’ di tempo per rafforzare culturalmente l’esperienza fatta sul campo nei 25 anni vissuti a san Donnino, per meglio elaborare molte pratiche vissute e per un approfondimento sulle relazioni fra le culture e i rapporti tra le religioni nel contesto odierno.

Per questo andrò per qualche mese a Loppiano, dove avrò l’opportunità di fare incontri ed esperienze spero interessanti su questo ambito, anche frequentando qualche iniziativa ad hoc promossa dall’Istituto Universitario Sophia.

Accompagniamoci sempre con la preghiera.

Ed ora, fino al momento della partenza, svolgiamo la nostra attività pastorale come se fosse il primo minuto.

 

La Nazione 19-6-16

Corriere fiorentino 19 giugno 2016

Don Momigli

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