Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe- anno B: Gen 15,1-6; 21,1-3 Sal 104 Eb 11,8.11-12.17-19 Lc 2,22-40
La liturgia di questa domenica ci pone davanti al mistero dell’Incarnazione visto attraverso l’ottica della famiglia, realtà essenziale per ogni persona, ma anche per la società e per la chiesa.
Maria, Giuseppe e Gesù, nella loro singola particolarità e differente identità, vivono le gioie e le problematiche quotidiane e straordinarie di ogni famiglia.
La famiglia richiama il senso di appartenenza a una storia, a un tessuto di relazioni e di legami che aiutano la persona a crescere, a formarsi e a maturare umanamente.
Lo stesso annuncio del Vangelo passa attraverso la famiglia, per poi raggiungere tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Nella fase storica che stiamo vivendo, che «non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca», come afferma Papa Francesco (Firenze, 10/11/2015), sono molte le sfide che anche la famiglia si trova a dover affrontare, sia sul piano identitario che sul piano educativo.
Queste sfide richiedono a tutti un supplemento di responsabilità e ci sollecitano al rispetto per ogni persona e situazione, consapevoli che mentre siamo chiamati ad accogliere tutti non potremo mai accogliere tutto.
Guardando alla famiglia di Nazaret mi vengono alla mente le immagini dei presepi più bizzarri che sono circolate in questo Natale: un presepe con due Maria e il Bambino, come quello allestito da un prete in provincia di Avellino; un presepe con due Giuseppe e il Bambino; un presepe solo con Maria e il Bambino, entrambi di colore nero. Tutto per veicolare messaggi tesi a un cambiamento di pensiero sul modo di intendere la famiglia.
I cambiamenti veri, però, si producono anche ritrovando il senso e i fondamenti di tradizioni ormai sbiadite, oppure con riferimenti nuovi che possono dare avvio a tradizioni diverse, non certamente con la caricatura delle tradizioni attuali, tanto più che l’essenza della rappresentazione della nascita di Gesù è data dalla sua identità: vero uomo, nato da donna; vero Dio, concepito per opera dello Spirito Santo.
Le questioni vere non si affrontano con ammiccamenti menzogneri, con visioni culturali che leggono gli avvenimenti in modo manicheo o in chiave ideologica, calpestando di fatto la diversità che si dice di voler tutelare.
Le nuove e le vecchie sfide, che riguardando anche la famiglia, interpellano la nostra fede, sollecitano la nostra responsabilità civica e vanno affrontate con la necessaria riflessione e con metodi degni dei fini perseguiti.
È tempo di tornare a riflettere, a educare e a educarci senza rimpalli di responsabilità. Siamo tutti coinvolti e responsabili nel rilancio di un vero processo educativo, partendo dalle relazioni familiari. Senza tuttavia pensare i rapporti educativi come si intendevano un tempo.
La via da seguire non può più essere indicata dall’autorità di un ruolo, ma proposta dall’autorevolezza della testimonianza. Non si è educatori solo perché si è madri o si è padri, o perché ci siamo assunti la responsabilità di un figlio anche quando non è stato generato da noi. Non si è automaticamente educatori perché insegnanti o preti. L’educazione è frutto delle parole che si dicono nella quotidianità e dell’evidente sforzo della coerenza con queste parole nel vivere le relazioni e nel compiere le scelte importanti.
Non si può certamente educare all’affettività quando i rapporti sono caratterizzate dall’emotività, dalla rivalsa, dal voler sempre e comunque prevalere o dal percepire il figlio come una proprietà anche nei litigi col partner.
È sempre più urgente educare alla gestione del conflitto come capacità di stare nella relazione nella ricerca di sintesi sempre più alte, facendo prevalere quella cultura del “noi” che è capace di superare la narcisistica cultura dell’”io”.
Le letture di questa festa della Santa Famiglia di Nazareth, sembrano volerci dire che l’attesa e l’accoglienza sono due dimensioni essenziali della vita familiare: indicano affetto, rispetto dei tempi di ciascuno, accettazione delle diversità, spazio favorevole perché ognuno possa crescere ed essere sé stesso, sentendosi riconosciuto e sostenuto nella sua unicità e importanza.
«Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40). Maria, Giuseppe e Gesù, dopo aver adempito la legge tornano alla vita quotidiana: è lì che il bambino potrà diventare uomo, nello scorrere dei giorni di un povero e ignoto villaggio.
Pur nell’abissale differenza di quel mondo con quello in cui viviamo, ieri come oggi, la vita dei genitori e dei figli si snoda dentro un contesto che apparentemente non ha nulla di eccezionale, ma è proprio in questo contesto che ci si prepara alla vita vera e si impara ad affrontarla.