Don Giovanni Momigli

Omelia Primo Maggio 2024 – Badia Fiorentina

San Giuseppe Lavoratore (Gen 1,26-2,3   Sal 89   Mt 13,54-58)

Celebrazione per il mondo del lavoro e preghiera per tutte le persone morte lavorando.

L’evangelista Matteo, nel brano del vangelo di oggi, ci presenta quella che possiamo definire una foto di famiglia: c’è il “padre” Giuseppe, la madre Maria; ci sono i fratelli, ognuno chiamato per nome; c’è l’anonimo gruppo delle sorelle; intorno ci sono i vicini e gli abitanti di questo borgo dove tutti conoscono tutti.

Una foto, assai diversa dal selfi con cui Gesù stesso presenta la sua famiglia alla fine del capitolo precedente: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,48-50).

Come ben chiariscono le parabole che l’evangelista colloca tra il “selfi” fatto da Gesù e la foto “scattata” a Nazaret, per far parte della famiglia di Gesù non è sufficiente entrare nella foto, ma occorre essere seme che produce frutto, diventare alberi che fanno ombra e danno riparo agli uccelli, essere lievito che fa fermentare l’impasto, essere aperti alla novità di Gesù che è il tesoro e la perla preziosa della nostra vita.

I compaesani di Gesù si scandalizzano e restano increduli (cfr Mt 13,57-58), perché rimangono fermi nel loro schema mentale: «Non è costui il figlio del falegname?» (Mt 13,55). Eppure la sua sapienza e i suoi prodigi (cfr Mt 13,54) avrebbero dovuto far pensare: le parole di Gesù erano confermate dalle opere e le opere spiegavano le parole.

L’evangelista Matteo ci dice che Giuseppe fa il falegname. Lavora modellando il legno; trasforma il legno in mobili e utensili utili alla vita quotidiana.

Ed è proprio sul lavoro che la liturgia ci invita a riflettere in questo Primo Maggio, memoria annuale di San Giuseppe Lavoratore e giorno che in ambito civile è caratterizzato come Festa del lavoro.

Il lavoro non è una punizione o una maledizione: fa parte della condizione originaria dell’essere umano. Gesù stesso, che avrà certamente lavorato nella bottega di Giuseppe, giunge a descrivere la sua missione come un lavoro. «Il Padre mio opera sino ad ora, ed anch’io opero» (Gv 5,17).

La Genesi pone per ultima la creazione dell’uomo e della donna, ai quali Dio comanda: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gn 1,28).

«Soggiogare» e «dominare»: due verbi che si prestano a fraintendimenti e possono perfino giustificare un dominio dispotico e sfrenato sulla terra e i suoi frutti, come abbiamo fatto e stiamo continuando a fare, nonostante i segnali che l’intero pianeta ci invia.

Ma è la stessa Genesi che chiarisce come va svolto il compito affidato: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2,15).

Potremmo dire che l’uomo e la donna di tutti i tempi, con il proprio lavoro sono chiamati ad essere “signori” della creazione custodendola, coltivandola, rispettandone le peculiarità e sviluppandone le potenzialità in maniera sostenibile, per il bene di tutti e di ciascuno, comprese le generazioni future.

Il lavoro è dimensione costitutiva della persona, che è un essere sociale. Lavorare non è solo un fare qualcosa, ma è sempre agire con e per gli altri.

Il lavoro dà dignità. E a nessuno è consentito stare nelle retrovie o limitarsi alla sola fase assistenziale quando c’è in gioco il diritto ad un lavoro dignitoso; quando si tratta di operare, anche sul piano culturale e legislativo, per fermare le inaccettabili morti sul lavoro; quando siamo di fronte a sfruttamenti intollerabili e a vere e proprie forme di schiavitù, ancora fortemente presenti anche nel nostro territorio Toscano.

Farsi prossimo non significa solo porsi come una sorta di “ambulanza della storia”, per raccogliere e curare i feriti lasciati per strada dai meccanismi perversi che presiedono e condizionano la vita economica e sociale, ma anche esporsi e operare per denunciare e cercare di cambiare questi meccanismi, per favorire la promozione sociale di chi viene scartato dal sistema.

Tutti siamo chiamati a metterci in gioco: ciascuno con le proprie energie spirituali, culturali, professionali ed economiche. Tutti dobbiamo essere artigiani che contribuiscono a modellare una vita sociale che metta al centro la persona nella sua integralità e il bene comune.

San Giuseppe lavoratore, interceda per noi.

 

Don Momigli

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