Don Giovanni Momigli

Omelia Natività della Beata Vergine Maria 8 settembre 2024 – Festa Patronale

Natività della Beata Vergine Maria (Mi 5,1-4   Sal 12  Rm 8,28-30  Mt 1,1-16.18-23)

Santa Messa solenne ore 18.00 dell’8 settembre 2024

La liturgia della Natività della Beata Vergina Maria ci immerge nel grande disegno della storia della salvezza, che si dipana nella successione delle generazioni.

L’evangelista Matteo ci consegna una sequenza di nomi di uomini e di donne che, forse, ci lascia un po’ indifferenti, rispetto ad altre pagine del Vangelo. L’intento dell’evangelista, però, è quello di mettere in evidenza che, solo in apparenza, la storia può sembrare la conseguenza dell’intreccio casuale di incontri e decisioni umane.

Le donne e gli uomini ricordati dall’evangelista hanno segnato le varie tappe del cammino iniziato con la chiamata di Abramo e della promessa a lui fatta, che arriva fino all’incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria.

Tutti, più o meno, siamo tentati di pensare che quel che avviene, a livello personale e a livello collettivo, sia frutto del nostro operato e di una serie di circostanze casuali, come dicono le espressioni che spesso usiamo: destino, fortuna, fatalità, circostanze fortuite. Anche come credenti, facciamo fatica a scorgere un progetto nei fatti e negli avvenimenti, che ci coinvolgono come persone singole, come comunità ecclesiale, come comunità civile.

Con la sua sequenza di nomi, l’evangelista ci dice che la storia è guidata sapientemente da Dio, che tira sempre le fila anche quando i comportamenti delle persone sono tutt’altro che ineccepibili e fedeli.

La festa della Natività di Maria ci ricorda che tutti facciamo parte di un’unica storia e che per tutti c’è una chiamata, una vocazione. A ciascuno il Signore affida un compito per il bene di tutti, come la vocazione di Maria è stata per il bene dell’umanità.

Per comprendere e rispondere alla chiamata dobbiamo risintonizzare la nostra vita personale e comunitaria con Gesù Cristo, Verbo di Dio, rimettendolo al centro della nostra fede e della nostra vita.

Per rimettere al centro Gesù Cristo e il suo Vangelo, però, non bastano i luoghi di solo pensiero o di sola preghiera o di sola azione: occorrono ambiti di ascolto e relazione, dove c’è la possibilità di narrare sé stessi e di incontrare altri che si narrano.

Le novità, nella Chiesa come nella società, nascono proprio dall’incontro di persone che si narrano, che narrano anche la loro vita di fede.

Del resto, l’annuncio cristiano non è una formula dottrinale o una morale e tanto meno una serie di pratiche religiose: è annuncio e narrazione dell’avvenimento Gesù Cristo.

La fede in Gesù Cristo è costitutivamente relazionale e sociale. Non si può essere cristiani da soli. E neppure persone che vivono una individualistica solitudine: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen. 2,18).

Abbiamo bisogno di guardare al presente recuperando una visione che, insieme, sia carica di memoria e aperta al futuro. Memoria e novità sono i due pilastri su cui si fonda l’esperienza di ogni persona e di ogni credente. Gettarsi nella novità senza il bagaglio della memoria è come vivere senza radici. Vivere solo di memoria e di abitudini, rende sterili e senza speranza.

Mentre siamo bravissimi a postare sui social le foto del cibo che mangiamo, del vestito che acquistiamo, dei luoghi dove andiamo in vacanza, siamo sempre più incapaci di narrare quello che si muove nel nostro intimo. Forse proviamo perfino difficoltà a dare un nome alle cose: non sappiamo ben definire con parole, concetti, idee e immagini quello che stiamo provando.

Una delle urgenze di questo nostro tempo è quella di vivere il presente recuperando il senso della memoria e la speranza nel futuro. Ma non lo possiamo fare senza riscoprire il valore della relazione e della narrazione.

Come parrocchia dovremmo creare spazi di relazioni gratuite, illuminate e sostenute dalla parola di Dio e aperte alla dimensione civica della vita. E dovremmo farlo in contesti diversi da quelli strettamente parrocchiali.

Abbiamo bisogno di crescere nella consapevolezza che l’eucarestia che celebriamo presuppone un “prima”, come l’annuncio e la comunione fraterna, ed esige un “dopo”, che coinvolga la vita personale, familiare e comunitaria.

Tutti siamo interpellati personalmente, ma non possiamo mai dimenticare che tutti facciamo parte di una comunità e di una storia: siamo dono gli uni per gli altri; siamo responsabili gli uni degli altri.

Siamo chiamati ad essere annunciatori e testimoni di Gesù Cristo, gli uni per gli altri. Ma per esserlo, la nostra vita personale e comunitaria deve alimentarsi, non di un vago sentimento religioso, ma da Gesù Cristo e dal suo Vangelo.

Maria, patrona della nostra parrocchia, interceda per noi!

Don Momigli

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