Don Giovanni Momigli

Omelia mercoledì 22 maggio 2024 – Badia Fiorentina

Mercoledì della Settima settimana Tempo per Annum (Giac 4,13-17   Sal 48   Mc 9,38-40)

Le brevi letture proposte dalla liturgia sono un richiamo a non essere arroganti, a non avere quell’atteggiamento di orgogliosa sicurezza di chi si crede padrone della propria vita e di chi si sente in una condizione di particolare esclusività.

La prima lettura mette in guardia dall’assumere atteggiamenti che non tengono conto del proprio limite. Atteggiamenti che assolutizzano le cose terrene, che fanno perdere il riferimento a Dio e ogni attenzione verso il prossimo.

Come esempio di questa mentalità, Giacomo parla di quei commercianti che fanno grandi progetti di viaggi e di affari, senza tener conto dei rischi che la vita comporta e della precarietà di ogni presunta sicurezza umana.

Nel suo argomentare, Giacomo riprende gli ammonimenti degli antichi proverbi popolari, dei salmi e delle persone di fede di ogni tradizione: la vita umana è fragile e breve; il tempo scorre veloce e senza ritorno; non è la persona umana padrona della vita e delle cose, ma la vita e la storia sono nelle mani di Dio e della sua misericordia.

Con questi ammonimenti, Giacomo cerca di portare questi commercianti sicuri di sé a un giusto senso del loro posto nel mondo: ricorda che nessuno conosce cosa accadrà domani. E, per rendere l’idea dell’inconsistenza umana, utilizza l’immagine del vapore: «Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare» (Gc 4,14).

Il vapore dura poco. Ma le nostre chiusure mentali rischiano di farci rimanere imbottigliati nel grave pregiudizio di pensare la nostra vita come un bene di cui poter disporre a nostro piacimento, in base alle nostre programmazioni: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni» (4,13).

Per prendere coscienza che la vita è un dono e un’avventura da scoprire, l’apostolo suggerisce una frase che racchiude una forma di pensiero che aiuta ad accogliere ogni cosa e ad affrontare il tempo e il mondo in cui ci è dato di vivere con semplicità, umiltà e gratitudine: «Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello» (Gc 4,15).

Queste parole, però, non possono diventare solo un intercalare linguistico, ma debbono far prendere coscienza della realtà della nostra umanità; che quello che accadrà – a noi e a tutti – è quanto ci è donato dalle mani del Padre e accolto o non accolto nella nostra vita personale e comunitaria.

Suadenti ma inconsistenti sono anche molti discorsi dei discepoli di Gesù, a partire da quelli più vicini a lui, come evidenzia il brano del vangelo di oggi.

Oltre alla cronica tentazione dell’ambizione e della ricerca dei primi posti, l’evangelista Marco mette in luce un grande pericolo a cui il discepolo va incontro: pensare che la verità del vangelo possa ammettere, o addirittura esigere, una certa esclusività; una certa gelosia nei confronti di chi non rientra dentro la nostra cerchia e i nostri schemi: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava un demonio nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» (Mc 9,38).

In queste parole dell’apostolo Giovanni c’è un atteggiamento che ritroviamo in tutti i tempi. Molti cristiani hanno creduto, e credono, di avere il monopolio di Gesù e del bene, correndo il rischio di essere intolleranti, come insegna la storia e anche molta attualità.

L’intolleranza è pensare che non può esserci un’azione buona, un’azione di guarigione, un’azione di liberazione, un’azione che umanizza il mondo da parte di chi non è all’interno dei confini della chiesa.

La risposta di Gesù non relativizza il suo ruolo fondamentale nella relazione tra ogni persona umana e il Padre, ma invita ad allargare gli orizzonti del cuore e della mente, per entrare nello sguardo ampio e inclusivo di Dio, senza timore e senza la logica del privilegio: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me» (Mc 9,39).

Gesù ci insegna a non essere mai intolleranti, a saper riconoscere il bene in quanto bene da qualunque parte venga. E ci insegna che una relazione autentica con lui può non essere il punto di partenza, ma il punto di arrivo di un cammino, che si sviluppa anche da posizioni di immaturità o di inconsapevolezza.

Il percorso del violento marito di santa Rita da Cascia, della quale oggi facciamo memoria, dimostra che con l’amore, la comprensione e la pazienza di chi ti sta accanto si può arrivare a riconciliarsi con Dio, nonostante i condizionamenti del carattere e del contesto sociale.

Non dobbiamo mai dimenticare che le “tracce” o i “semi” del Verbo, come dicevano i Padri della Chiesa, e i “raggi” della sua verità sono presenti in ogni persona.

Don Momigli

condividi questo post

Facebook
Twitter
Pinterest