Feria propria del 18 dicembre (Ger 23,5-8 Sal 71 Mt 1,18-24)
In questa feria dell’ottava in preparazione del Natale del Signore Gesù, la liturgia ci presenta quella che alcuni chiamano l’annunciazione a Giuseppe.
Per comprendere meglio il brano ascoltato è necessario tener presente il contesto e il momento in cui è collocata la scena descritta dall’evangelista Matteo.
Il contesto. Giuseppe fa parte di quel gruppo di persone composto di gente semplice, povera, laboriosa, anche pia e giusta in senso Biblico, che viveva in mezzo a una società dove la élite era corrotta e collaborava con il potere occupante.
Il momento. Giuseppe si trova in una situazione personale particolarissima: è fortemente turbato dalla notizia che la sua sposa aspetta un figlio e sta valutando come agire, senza dare in pasto Maria alla vergogna pubblica; cercando di mettere insieme verità e carità, come diremmo oggi.
In questo momento difficilissimo, in sogno – nella Bibbia spesso si usa questa immagine per esprimere una rivelazione – l’angelo del Signore si rivolge a Giuseppe invitandolo a non temere: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù» (Mt 1,20).
Dio è salvezza, è più grande di ogni potere: è anche più grande di ogni aspettativa e compie meraviglie
A differenza di Maria, che aveva acconsentito alle parole dell’angelo interloquendo e dicendo «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), Giuseppe, dopo aver ascoltato, senza dire niente «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24).
Nei racconti che parlano di lui, Giuseppe non dice mai una parola, ma risponde sempre con un’obbedienza umile e coraggiosa. Viene presentato come vero figlio di Abramo, che si affida a Dio e alla sua provvidenza, camminando verso un futuro umanamente oscuro e incerto, ma pieno di speranza nella fede.
Può capitare a ciascuno di noi, come singole persone e come comunità, di trovarsi in situazioni difficili, sul piano esistenziale e su quello relazionale e sociale.
Il rischio peggiore è di abbarbicarsi al già conosciuto, farsi consigliare dalla paura e comportarsi come sembra suggerire il pensiero prevalente, anche di fronte alle grandi questioni che oggi affliggono il mondo. E allora: Prima l’America. Prima l’Italia. Prima la mia regione. E – alla fine dei conti – prima me stesso, solo me stesso.
La paura genera sfiducia e nutre la xenofobia, l’odio degli uni verso gli altri e spinge a costruire muri e recinti, per non far entrare chi sta fuori, ma che poi si trasformano in una barriera insormontabile che impedisce di uscire.
A Giuseppe, stretto in una situazione incomprensibile e che sembra devastarlo, la prima cosa che l’angelo gli dice è una parola cara a tutto il messaggio biblico, ribadita anche dal Risorto ogni volta che ha incontrato i suoi: «Non temere» (Mt 1,20).
Il nostro cammino non è verso un futuro semioscuro o addirittura buio, che fa paura. La storia è nelle mani di Dio e anche quello che sembra umanamente impossibile può avvenire.
Giuseppe, forse, non ha capito fino in fondo quello che gli ha detto l’angelo, ma crede alle promesse di Dio ed è aperto alle sue meraviglie.
Il Verbo per farsi carne aveva bisogno di una donna. E una volta fatto carne aveva bisogno di un padre umano, di una famiglia. Maria e Giuseppe hanno attivamente collaborato alla missione affidata a Gesù, con il loro attento ascolto e la loro fede obbediente.
Per accogliere Maria e il figlio che era dentro di lei, Giuseppe ha saputo aprirsi all’ascolto e ha accolto con fede la parola che Dio gli ha rivolto.
Così noi, per accogliere il Signore che viene, bisogna mettersi in ascolto della Scrittura e di quello che lo Spirito suscita attraverso la sete di vita che abita cuore. Ed è necessario non temere e osare grandi sogni, nella certezza che per Dio niente è impossibile.