Mercoledì della Quindicesima Settimana Tempo Ordinario Anno pari (Is 10,5-7.13-16 Sal 93 Mt 11,25-27)
La prima lettura ci dice che Dio si serve dell’Assiria come strumento per colpire e punire Israele, che definisce una nazione «empia» (Is 10,6). Attraverso l’Assiria Dio esegue il suo giudizio su un popolo ribelle, duro di cuore, che non vuole ascoltare la parola del Signore e affidarsi alla sua volontà.
L’Assiria poi verrà punita per la sua bramosia di conquista, perché «vuole distruggere e annientare non poche nazioni» (Is 10,7) e per essersi orgogliosamente vantata della propria potenza «Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un eroe coloro che sedevano sul trono» (Is 10,13).
Nel linguaggio della profezia è proprio questo il peccato della potente Assiria: pensare orgogliosamente di essere una civiltà invincibile per propri meriti, invece è solo uno strumento inconsapevole nelle mani di Dio.
Le parole di Isaia non lasciano scampo all’insensata vanità dell’Assiria, ma sono un monito anche per ciascuno di noi ogni volta che confidiamo solo in noi stessi, perdendo il senso della misura e il legame con il Creatore: «Può forse vantarsi la scure contro chi se ne serve per tagliare o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia? Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna e una verga sollevare ciò che non è di legno!» (Is 10,15).
Questo brano del profeta Isaia ci aiuta a dare spessore e profondità alle affermazioni di Gesù, espresse nella forma della preghiera, riportate dall’evangelista Matteo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Accostando il brano di Isaia e quello del vangelo, possiamo cogliere in tutta la sua portata la differenza tra i «piccoli» di cui parla Gesù e quei sapienti che, come l’Assiria, pensano di essere grandi e si autocelebrano in modo ridicolo: «Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra» (Is 10,14).
I “piccoli” trovano la loro forza nella relazione: sentono di non essere bastanti a sé stessi e questo li rende aperti agli altri e a Dio.
I “grandi”, invece, rischiano di pensare a sé stessi come se non avessero bisogno di nessuno e, col tempo, questo si rivela falso e persino triste e pericoloso.
All’impermeabilità di chi vive arroccato in ciò che già sa, o crede di sapere, Gesù reagisce rendendo grazie al Padre per la rivelazione concessa ai piccoli, coloro che hanno un cuore capace di ascolto e di conversione.
Rendendo grazie al Padre per aver rivelato le sue cose ai «piccoli», anziché «ai sapienti e ai dotti», Gesù non esprime un giudizio negativo nei confronti dello studio e dell’approfondimento, necessario per prendere coscienza del mistero della realtà e contribuire alla ricerca e all’elaborazione culturale.
I piccoli a cui si riferisce Gesù sono le persone consapevoli che siamo tutti sulla stessa barca e che non ci si salva da soli: sono coloro che sanno che nel nostro tutto siamo niente senza il Creatore e che solo vivendo con umiltà la nostra condizione possiamo accogliere quanto Dio ci rivela su sé stesso, su di noi e sul mondo.
La piccolezza che rende possibile accogliere la grandezza della rivelazione di Dio, non consiste nel rimanere dentro una piccola misura, ma nell’essere consapevoli dei propri limiti e accedere, proprio attraverso questi limiti, a una misura sempre più grande.
Non è il Padre, dunque, ad aver nascosto la rivelazione del Figlio ai sapienti e ai dotti. La rivelazione rimane a loro nascosta, ossia incomprensibile, perché sono chiusi nel loro sapere, impermeabili a quanto non viene dai loro libri e dalle loro interpretazioni.
La piccolezza necessaria per accogliere il vangelo non è altro che la consapevolezza della nostra condizione di creature che, nonostante la nostra grandezza, siamo sempre bisognose di aprirci a ricevere il dono di una relazione più profonda e di una vita più grande: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27).