Don Giovanni Momigli

Omelia martedì 22 aprile – Badia Fiorentina

Martedì dell’ottava di Pasqua (At 2,36-41   Sal 32   Gv 20,11-18)

Con la morte di Gesù in croce, tutti – compresi i suoi discepoli – sono convinti che ormai la storia e la vicenda di Gesù sia conclusa, che tutto sia finito. C’è bisogno di tempo prima che possano capire che in quella fine c’è anche altro, che c’è un oltre inedito.

Il mattino di Pasqua, Maria di Magdala, dopo aver visto che la pietra era stata tolta dal sepolcro, ritorna di corsa al Cenacolo dicendo: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!» (Gv 20,2).

Pietro e l’altro discepolo corrono al sepolcro, vedono come stanno le cose e, pur con una percezione diversa l’uno dall’altro su quanto accaduto, ritornano a casa.

Maria di Magdala, invece, rimane al sepolcro, piangente, alla ricerca del corpo del Signore. Per lei quel sepolcro vuoto rappresenta una nuova ferita: la tomba e il corpo di Gesù erano tutto quello che restava per esprimere il suo affetto al Maestro.

Mentre continua a guardare il sepolcro vuoto, due angeli in bianche vesti le domandano il perché del suo pianto. E lei: «Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto» (Gv 20,13).

Questa è la pena di Maria: non poter piangere davanti al corpo di Gesù. Il suo ragionamento è chiaro: Gesù è morto ed è stato posto nel sepolcro. Se il sepolcro è vuoto c’è un’unica possibilità: il corpo è stato trafugato.

Questa sua deduzione, umanamente logica, diviene però un impedimento ad andare oltre, a prendere in considerazione altre possibilità. Qualsiasi cosa avvenga lei continua con il suo ragionamento e la sua ricerca del corpo.

Le sue lacrime per la morte di Gesù e per la scomparsa del suo corpo, le impediscono perfino di riconoscere il Signore: «si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,14).

Che cosa cerco? Questa è la grande domanda che deve accompagnare il nostro cammino di crescita umana e nella fede. Si può cercare solo noi stessi oppure essere aperti a una ricerca ulteriore, che ci fa anche trovare noi stessi in modo più vero.

Maria è alla ricerca del corpo del Signore sul quale piangere. Una ricerca così forte e così chiusa da velare i suoi occhi: «pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» (Gv 20,15).

A volte le nostre sicurezze rischiano di diventare un idolo. Essere sicuri di qualcosa diviene un fatto negativo se questa sicurezza si fonda solo su di noi e inibisce ogni riflessione ulteriore, ogni elemento critico, e la comprensione delle azioni di Dio.

Le nostre convinzioni sono una grazia quando sono accompagnate dalla certezza che il Signore è con noi e che è lui la nostra vera sicurezza.

Perché Maria possa oltrepassare la cortina delle lacrime e riconoscere colui che sta cercando, ma anche tutta sé stessa, c’è bisogno che il Risorto la chiami per nome: «Maria!» (20,16).

Soltanto dopo essere stata chiamata per nome, Maria può finalmente riconoscere e adorare il Risorto, compiendo la conversione dalla tristezza alla gioia: «Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” — che significa “Maestro!”» (Gv 20,16).

Maria è la prima fra i discepoli a vedere il Signore. Ed è la prima inviata a portare l’annuncio di Pasqua: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro“» (Gv 20,17).

Il Risorto è l’unico capace di cogliere il nostro desiderio profondo e di orientarlo verso il Padre e verso i fratelli.

Maria corre nuovamente dai discepoli, ma questa volta non annuncia un fatto – il sepolcro vuoto – e una sua deduzione – hanno portato via il corpo – ma l’esperienza da lei fatta: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18).

L’esperienza dell’incontro col Risorto, sentirsi chiamare per nome e guardati in volto da lui, cambia il nostro sguardo, e in modo ancor più profondo, trasforma le nostre aspettative, spostandole dal nostro io alla novità di Dio.

Vorrei concludere con alcune delle parole con cui papa Francesco ha commentato la sesta stazione della Via Crucis dello scorso Venerdì Santo al Colosseo: «Ti accorgi di Veronica, come di me. Io cerco il tuo volto, che racconta la decisione di amarci sino all’ultimo respiro: e anche oltre, perché forte come la morte è l’amore (cfr Ct 8,6). A cambiarci il cuore è il tuo volto, che vorrei fissare e custodire. Tu ti consegni a noi, giorno dopo giorno, nel volto di ogni essere umano, memoria viva della tua incarnazione».

Il Signore accolga Francesco fra le braccia della sua misericordia e gli conceda di vivere con lui «faccia a faccia, in un dialogo senza fine, nell’intimità di cui mai saremo stanchi, famiglia di Dio» (VI Stazione La Veronica asciuga il volto di Gesù).

Don Momigli

condividi questo post

Facebook
Twitter
Pinterest