Don Giovanni Momigli

Omelia domenica delle Palme 24 marzo 2024

Domenica delle Palme anno B (Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11   Mc 14,1-15,47)

La benedizione dell’ulivo e la processione con cui abbiamo iniziato questa celebrazione, ricordano l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e ci introducono nei momenti salienti della passione, morte e risurrezione di Gesù, che vivremo nel Triduo Pasquale.

Contemplare Gesù che entra in Gerusalemme e tutte le vicende legate alla sua passione, ci fa anche pensare alle tante passioni e alle tante croci che pesano sulle spalle di persone e popoli, iniziando proprio dalla gravissima situazione di coloro che abitano in Terra Santa e in tutte le zone dove si vive la tragica la pazzia della guerra e avvengono folli atti terroristici.

Pensare alle persone e ai popoli coinvolti nella guerra, ci chiama – anzi ci spinge – a pregare e ad agire, facendo quanto è nelle nostre possibilità, perché cessi la tragedia della guerra, siano fermati i combattimenti e si intraprenda la via di un negoziato vero. Siamo chiamati pregare e agire senza cedere alla tentazione di desistere se ci troviamo a vivere incomprensioni e solitudine.

Come abbiamo ascoltato dal racconto della Passione, pur in mezzo all’agitazione delle persone che lo circondano, Gesù si trova da solo ad affrontare gli eventi: incomprensione, abbandono e solitudine hanno segnato in modo particolare il suo cammino verso la morte in croce.

Davanti alla violenza, all’inganno e alla delusione, tutti, anche i più fedeli a Gesù, sono vinti dalla paura: nell’ora delle tenebre più profonde è difficile reggere la prova.

Tutti gli evangelisti mettono in rilievo alcuni personaggi: Giuda che consegna il suo maestro con un bacio; Pietro che lo rinnega; Pilato che rinuncia al pur timido tentativo di salvare Gesù scambiandolo con Barabba; Simone di Cirene che prende la croce per costrizione, ma la costrizione non fa diventare discepoli e appena può abbandona.

Per l’evangelista Marco, come abbiamo ascoltato, persino le donne osservano da lontano, perché il dolore e l’impotenza rendono muti e immobili.

Guardando ai vari personaggi, più o meno possiamo riconoscerci nell’uno o nell’altro, perché siamo tutti deboli, dubbiosi, peccatori. Ma siamo anche tutti perdonati e salvati proprio da Gesù Cristo che, morendo sulla croce, manifesta l’amore di Dio, ci avvolge con la sua misericordia, ci apre la via della comunione eterna con la risurrezione.

È proprio sul Calvario che si tocca il vertice dello scontro tra due mentalità. Le parole di Gesù crocifisso si contrappongono a quelle dei suoi crocifissori, che continuano a ripetere: “Salva te stesso”. Lo dicono i passanti: «salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). E lo dicono i sommi sacerdoti con gli scribi: «Ha salvato altri, non può salvare sé stesso!» (Mc 15,31)

Salvare sé stessi, badare a sé stessi, pensare a sé stessi è la mentalità che ancora oggi prevale, nonostante le vita si incarichi continuamente di dimostrarci il contrario.

Ma alla mentalità dell’io si oppone quella di Dio incarnata in Gesù Cristo, che non ha ritenuto «un privilegio l’essere come Dio»: svuotando sé stesso e divenendo «obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Eb 2,6.8). Al “salva te stesso” dell’uomo si oppone la disponibilità di Gesù Cristo ad abbracciare la croce per la salvezza di tutti.

«Nessuno si salva da solo, siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia», ha ricordato al mondo Papa Francesco nel tardo pomeriggio del 27 marzo 2020, in una vuota piazza San Pietro nel mezzo della pandemia.

Da soli non possiamo salvarci. Da soli non possono salvarsi i popoli in guerra: hanno bisogno della nostra preghiera e del nostro coraggioso e creativo apporto.

Teniamo fisso lo sguardo su Gesù crocifisso, che attira tutti a sé avvolgendoci con il suo sguardo di misericordia: portiamo a lui i drammi di questa umanità e invochiamo da lui la forza della fraternità e della fattiva solidarietà.

Don Momigli

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