Quinta domenica del tempo Ordinario Anno C (Is 6,1-2.3-8 Sal 137 1Cor 15,1-11 Lc 5,1-11)
Tutte le letture di questa domenica ci presentano persone chiamate da Dio per una missione. Isaia è chiamato dal Signore ad essere profeta. Paolo è chiamato da Cristo risorto ad essere apostolo. Gesù chiama i primi discepoli a seguirlo.
Guardando a Isaia, a Paolo e agli apostoli, appare facile riflettere sul fatto che il Signore chiama ciascuno di noi; che ogni persona è chiamata per il bene di tutti.
La facilità a riflettere sulla chiamata, tuttavia, si complica se la collochiamo nel contesto sociale e culturale di questo nostro tempo, fortemente segnato da una marcata autoreferenzialità e da un individualismo radicale: al centro di tutto ci siamo noi e tutto viene finalizzato a noi stessi.
La rivelazione biblica, invece, ci presenta un’altra visione e ci porta in una diversa direzione: Dio ha un progetto su ciascuno di noi e ci chiama a seguirlo per il bene delle donne e degli uomini che vivono nel contesto in cui siamo e dell’intera umanità.
Per riflettere proficuamente sulla chiamata è necessario assumere un orizzonte diverso da quello nel quale quotidianamente ci muoviamo e che orienta le nostre scelte: la chiamata esige la disponibilità di seguire Gesù, vivendo la propria vita sulle sue tracce.
Tutte e tre le letture di oggi ci presentano persone che, nella diversità della sensibilità e dell’esperienza, sono chiamate da Dio per una missione per la salvezza di tutte le donne e di tutti gli uomini, non solo la nostra personale esistenza.
La chiamata di Isaia è posta in un contesto liturgico e solenne, nell’anno 740 a.C: mentre sta per svolgere il culto, percepisce la gloria di Dio e sente una chiamata imprevista ad essere profeta.
In questo racconto di chiamata viene messo in luce l’irrompere di una iniziativa inattesa e sorprendente da parte di Dio, che si rende vicino in modo irresistibile e la disponibilità di Isaia ad un coinvolgimento per una missione, accettando di entrare nel rischio della fede.
Isaia vive un’esperienza che nella storia, pur con modulazioni diverse, si ripete per molte persone: sente come chiamata personale la richiesta di Dio, «Chi manderò e chi andrà per noi?», e risponde offrendo la sua disponibilità: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8).
Paolo, nella seconda lettura, proclamando la solidità del vangelo proclamato, fa riferimento a quanto da lui vissuto passando da persecutore della Chiesa ad apostolo di Cristo, dicendo con chiarezza che quello che lui è diventato è solo frutto della grazia di Dio: «Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1 Cor 15,10).
Il Signore è dentro la storia personale di ciascuno e in quella dell’umanità. Isaia è chiamato mentre svolge il culto nel Tempio, Paolo mentre perseguita i cristiani, i primi discepoli nel loro ambiente lavorativo, mentre stanno lavando le reti dopo una notte di pesca infruttuosa, come ci racconta il Vangelo di Luca.
Gesù chiama Pietro e gli altri in due mosse. Prima chiede il favore di essere accolto sulla barca per poter predicare alla folla riunita intorno; poi, dopo che hanno ascoltato il suo insegnamento, fa a Pietro una richiesta: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Lc 5,4).
La risposta di Pietro parte dall’esperienza: «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» (Lc 5,5), figuriamoci di giorno. Poi, ispirato dalla presenza di Gesù e illuminato dalla parola ascoltata, la sua diviene risposta di fede: «ma sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5).
La reazione di Pietro, dopo che le reti si erano riempite di pesci, è immediata e imprevista: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). In modo diverso, anche Isaia vive la stessa situazione: «Un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito» (Is 6,5). E anche Paolo: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1 Cor 15,8).
L’essere peccatori non costituisce un ostacolo ad essere chiamati da Dio. La grandezza di questi tre testimoni non consiste solo nel coraggio dimostrato nel rispondere alla chiamata, ma nell’aver riconosciuto la propria debolezza.
La relazione vera con Gesù ci fa scoprire la nostra mancanza e ci fa capire come di fronte a lui e alla sua parola emerge la verità del nostro peccato e la grandezza del suo amore e della sua grazia. Ed è proprio questa esperienza che siamo chiamati a testimoniare, annunciando la risurrezione del Signore.