Ventitreesima domenica Tempo Ordinario Anno B (Is 35,4-7a Sal. 145 (146) Gc 2,1-5 Mc 7,31-37)
Tutta la liturgia di questa domenica ci parla del superamento di limiti e confini. I confini possono svolgere una funzione di protezione, ma possono anche divenire occasione di chiusura, di ripiegamento identitario e di esclusione. Rimanere chiusi nei propri confini, anche nelle tematiche quotidiane, porta sempre a un ripiegamento e ad annullare ogni orizzonte di speranza.
La prima lettura spinge al superamento di ogni tipo di confine: Isaia annuncia una promessa che fa guardare in avanti, che presenta una situazione umanamente impensabile: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio…» (Is 35,4ss).
Di superamento di limiti e confini ci parla anche Giacomo, nella seconda lettura. Si tratta di andare oltre i favoritismi e i limiti che derivano da quegli atteggiamenti discriminanti suscitati dallo status sociale: «la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali» (Gc 2,1).
Il racconto del Vangelo, poi, è tutto costruito sul superamento di limiti e confini, a partire da quelli geografici e religiosi: «Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli» (Mc 7,31).
Gesù oltrepassa frontiere e limiti stabiliti da tempo sia sul piano sociale che religioso: non per trasgressione, ma per aprire a orizzonti ben più vasti di quanto possono fare culture, tradizioni e credenze umane.
Confini e limiti vengono superati anche dai gesti compiuti da Gesù nei confronti di un uomo, chiaramente pagano: portarono a Gesù un «sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano» (Mc 7,32?).
La sordità ha compromesso la sua capacità di comunicare. Si esprime con difficoltà, farfuglia, fatica a farsi capire. Come chiarisce bene il testo originale, era “sordo e malparlante” e, questo, comprometteva gravemente anche la sua vita relazionale e sociale.
Possiamo benissimo intuire la frustrazione e l’umiliazione di quest’uomo, che non riesce a dare forma verbale comprensibile al proprio sentire e al proprio pensiero. E possiamo intuire il disagio di chi si trova ad ascoltare senza capire, vivendo quell’incontro con imbarazzo, con commiserazione e pure col desiderio di concluderlo al più presto.
La solidarietà delle persone che chiedono a Gesù di imporgli la mano, consente a quest’uomo di superare un primo limite: quello comunicativo.
La guarigione non rappresenta solo il superamento del limite corporeo dato dalla sordità, ma riguarda l’intera persona e il suo rapporto con il mondo. Tanto che la sua guarigione viene espressa dicendo che egli «parlava correttamente» (Mc 7,35).
Per estensione, potremmo dire che hanno bisogno di questa guarigione anche alcuni aspetti delle nostre strutture relazionali, sociali ed ecclesiali.
La “conversione pastorale” a cui fa riferimento papa Francesco, può essere una possibile via di guarigione da situazioni e condizioni malate, nelle quali vivono o sopravvivono molte delle nostre realtà ecclesiali.
L’incapacità di comunicare il Vangelo e a generare alla fede, che caratterizza molte nostre parrocchie, deriva da un’autoreferenzialità che ci ha resi sordi alla parola di Dio e alle vere inquietudini delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Dopo avergli toccato le orecchie e posto la sua saliva sulla lingua, Gesù grida all’uomo sordomuto: «Effatà», cioè: «Apriti!» (Mc 7,34).
Apriti: è l’invito all’uomo come tale, nella sua totalità. È lui come persona che deve aprirsi, che deve lasciare che la parola di Gesù vinca la sua chiusura. È una parola che prima che essere rivolta alle sue orecchie è rivolta al suo cuore, al centro interiore dell’intera sua persona.
Come avvenuto al sordomuto, solo nell’intimità con Gesù possiamo trovare la disponibilità ad aprirsi alla novità di Dio.
Ecco perché alla base di tutto, di ogni qualsiasi discorso e di ogni qualsiasi azione, a livello personale e comunitario, c’è la necessità di un rinnovato incontro Gesù. Un incontro che, per sua natura, non è mai chiuso in Sé stesso, ma è sempre personale e comunitario.