Ventisettesima domenica Tempo Ordinario anno B (Gen 2,18-24 Sal 127 Eb 2,9-11 Mc 10,2-16)
L’inizio del libro della Genesi, con i suoi racconti parabolici, ci conduce alle domande fondamentali della vita. La Bibbia non è interessata al come, ma al perché: ci insegna a non limitarci a guardare le cose in sé stesse, isolatamente, e ci aiuta a comprenderne l’essenza.
Il brano della Genesi che abbiamo ascoltato non ci dice che l’uomo in sé stesso non sia creato bene da Dio, ma che per la sua natura costitutivamente relazionale «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18).
Il progetto di Dio non prevede un’esistenza individualista. Ogni persona ha bisogno di relazione. Nella solitudine non c’è vita. L’esistenza, secondo Dio, include l’altro. L’altro è indispensabile: siamo fatti per costruire relazioni.
L’esperienza relazionale di ciascuno ci dice che il volto dell’altro non solo ci interpella, ma spesso infastidisce, inquieta, ferisce. La parzialità, la conflittualità e anche il fallimento di molte nostre esperienze relazionali, spesso causate dal tentativo di usare l’altro per i propri fini, non fanno venir meno la necessità della relazione per scoprirsi ed esprimersi.
Neppure il fallimento di molti matrimoni fa venire meno la necessità dell’annuncio evangelico del matrimonio, come ribadito da Gesù stesso rispondendo alla domanda dei farisei sulla liceità del ripudio previsto da Mosè: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 10,5-8).
Abbiamo tutti bisogno di confrontarci continuamente con il messaggio evangelico anche riguardo al matrimonio, per evangelizzare non solo la durezza del cuore, ma anche personalità sempre più deboli e fragili.
L’ideale cristiano del matrimonio, come ogni vero ideale, deve declinarsi nella vita e nelle relazioni delle persone. Quando un ideale o un valore si incarna, non può che esprimersi nei limiti e nella fragilità della condizione storica delle persone, che possono viverlo solo in modo parziale, incompiuto.
Questo però non giustifica l’adagiarsi nell’inadeguatezza, rinunciando a percorrere il cammino che, anche con la grazia del sacramento, conduce al bene possibile che ogni persona, ed ogni coppia, può raggiungere nelle varie fasi della vita.
Possiamo dire che anche riguardo alla coppia e al matrimonio, il bene possibile corrisponde al dinamismo della vita umana e cristiana, che non attua tutto il bene qui e ora, ma procede gradualmente nella sua attuazione.
La forma evangelica del matrimonio può essere realisticamente vissuta se la si considera in chiave dinamica, come un cammino che si fa passo dopo passo con il sostegno dello Spirito Santo.
Il bene possibile, per quanto minimo rispetto al bene ideale, è però il bene massimo rispetto alle persone che lo praticano: «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (Amoris Laetitia, 305).
La questione grave – e colpevole – è la staticità. Dando per scontato che l’ideale evangelico non sia attuabile in questo nostro tempo, non ci si preoccupa neppure di fare qualche piccolo passo, illuminati e guidati dal Vangelo.
Si chiedono i sacramenti per i figli, ma si vive senza alcun riferimento a Gesù Cristo. Così facendo riduciamo i sacramenti a tappe sociali, anziché di fede, e rendiamo normale la relazione di quelle coppie che non riescono ad andare oltre la forma di una convivenza neanche sul piano civile.
Ci lasciamo trasportare e assorbire da una mentalità che non consente di prendere coscienza del tesoro a cui rinunciamo e che stiamo diventando, gradualmente ma inesorabilmente, sempre più sterili spiritualmente e umanamente.
Per un cambio di passo può bastare la presa di coscienza delle nostre fragilità, lasciarsi toccare e prendere in braccio e benedire da Gesù, come quei bambini che andavano da lui. Il Signore è sempre pronto a ricominciare con noi.