Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 30 marzo 2025

Quarta domenica di Quaresima anno C (Gs 5,9-12   Sal 33   2Cor 5,17-21   Lc 15,1-3.11-32)

Il capitolo quindicesimo di Luca ci porta al cuore del Vangelo con le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta e la grande parabola del padre misericordioso.

È bene ricordare che queste parabole vengono dette da Gesù in risposta alle mormorazioni delle autorità religiose del suo tempo, gli scribi e i farisei.

Il comportamento di Gesù che va a tavola con pubblicani e peccatori e frequenta gente di pessima reputazione, è considerato scandaloso per persone che ritengono di essere religiose e per bene.

Gli atteggiamenti degli scribi e dei farisei dimostrano come spesso la religione – allora come oggi – si trasforma in ideologia del sacro, che non rispetta le persone per quello che sono, in nome di principi fatti passare come idee di Dio.

Il dono di Dio si concretizza in una relazione rinnovata, che sfocia sempre nella festa. Potremmo dire che questa è l’ottica e la scommessa del Vangelo: trovare gioia nell’amore per l’altro, comunicando all’altro l’amore che il Padre ha per ciascuno di noi. Va sempre ricordato che al Padre sta a cuore anche una sola persona perduta.

Le tre parabole del capitolo quindici vengono raccontate da Gesù per coloro che si ritenevano giusti, per coloro che pensano di non essersi mai persi nella vita. Il primo scopo del racconto, forse, è proprio quello di aiutarci a prendere coscienza che anche noi a volte ci siamo persi, pur senza essersene accorti.

Come appare chiaramente dalla parabola che ci viene proposta in questa domenica, ci si può perdere, come ha fatto il figlio minore, pensando di poter vivere usando quello che altri hanno prodotto e cercando l’amore senza alcun tipo di vincolo, come se si potesse prendere senza dare niente di sé stessi. E ci si può perdere, come il figlio maggiore, facendo il proprio dovere, senza nessun senso di condivisione, calcolando ogni prestazione e volendo altro nel proprio intimo.

La differenza di intenti e di interessi fra i protagonisti della parabola che abbiamo ascoltato, è resa ancor più evidente dal fatto che, per il padre, la cosa più importante è la comunione d’amore. Mentre per i figli, sia pur con modalità diverse e perfino opposte, tutto sembra giocarsi sulle questioni materiali e sull’affermazione di sé stessi, indipendentemente dagli altri.

Dall’insieme della parabola emerge la difficoltà a vivere la vera libertà ed a prendere coscienza che l’amore è anche follia.

Il figlio minore dopo aver sperperato tutti i suoi averi, si trova in miseria e pensa: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!» (Lc 15,17). Si prepara un discorso da fare al padre, confidando di trarre un qualche vantaggio: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati» (Lc 15,19).

Il padre è già sulla porta ad aspettare il ritorno del figlio e non gli lascia neppure finire il discorso che si era preparato.

Gesù ci vuole far capire che il Dio da lui annunciato è come un genitore sempre disposto a riprendere in casa il proprio figlio, indipendentemente dal motivo per cui il figlio ritorna.

Dio è come un padre che ci viene incontro nei nostri errori quotidiani, anche quelli più gravi, dandoci una lezione affinché assumiamo uno stile di vita diverso.

Se la parabola finisse qui, ci sarebbe il lieto fine. Ma la parabola prosegue. Il figlio maggiore si rifiuta di entrare in casa a far festa con il fratello. E dice sdegnato al padre che era uscito per andargli incontro: «Questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute per lui hai ammazzato il vitello grasso» (Lc 15,30).

Il ragionamento del figlio maggiore appare sensato: è il comportamento del padre che appare inspiegabile, se non si legge con gli occhi dell’amore e con il fatto che una persona vale più di ogni cosa.

Dovresti entrare e fare festa, risponde il padre, perché «tuo fratello» è ritornato sano e salvo: «Era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,32).

Questa parabola non è la storia di un pentimento o di una conversione: la conversione è l’obiettivo non il presupposto per essere accolti dal Padre.  La gratuità ci spaventa e ci disorienta, perché toglie anche la possibilità di far valere qualcosa di noi davanti a Dio.

La parabola non giustifica il comportamento sbagliato, ma ci dice che Dio accoglie chi – anche in modo non perfetto – sa tornare indietro e affidarsi a lui.

Don Momigli

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