Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 3 marzo 2024

Terza domenica di Quaresima anno B: Es 20,1-17   Sal 18   1Cor 1,22-25   Gv 2,13-25

Gesù ce lo aspettiamo sempre buono, comprensivo misericordioso, pronto a consolare e a guarire.

Il brano del vangelo di oggi, invece, ci presenta Gesù pieno di rabbia, che usa gesti forti verso coloro che fanno operazioni “commerciali” nell’atrio del Tempio, anche se il loro ruolo è direttamente funzionale alle liturgie e al sostentamento del Tempio.

Di solito la rabbia emerge quando parliamo e non siamo ascoltati, quando comunichiamo e non ci sentiamo capiti.

La rabbia non è sempre uguale, non ha sempre lo stesso segno. C’è una rabbia distruttiva, che mira ad eliminare l’altro. E c’è una rabbia costruttiva, che ha interesse a mantenere una relazione, a cambiarla, a qualificarla.

La polemica di Gesù va in profondità: in gioco c’è la verità della relazione con Dio. E la sua forte reazione nasce dal modo in cui è abitato e usato il Tempio e punta a scuotere le persone, per indurle a rivedere la loro relazione con Dio: una relazione scaduta, ridotta ai soli criteri umani, con aspetti idolatrici.

Il brano del libro dell’Esodo, proposto come prima lettura, ci aiuta a comprendere che una positiva relazione con Dio non può avere niente di idolatrico. Dio non è il prodotto della nostra immaginazione: è Altro da noi e da ogni nostra idea del divino.

Dio è sempre alla ricerca di una viva relazione e dona a Mosè le dieci parole. Non si tratta di proibizioni da seguire per non essere condannati da un Dio severo. Si tratta piuttosto di indicazioni per un popolo che è stato liberato dalla schiavitù e che vuole restare libero. I cosiddetti “comandamenti” sono parole di libertà, parole che presuppongono e difendono la libertà di chi le accoglie e di chi le vive.

Una tentazione sempre attuale, alla quale è difficile sottrarci, è quella di applicare i nostri schemi e i nostri giudizi – con i quali non siamo neppure sempre coerenti – al rapporto con Dio, arrivando perfino a trasformare in idoli le sue parole e le nostre pratiche religiose.

«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,2-3). Neppure la legge data da Dio può prendere il posto di Dio, altrimenti diventa essa stessa idolo.

Rapportarsi con Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio, anziché in termini di risposta, di relazione, di amore, significa stravolgere tutto e vivere in un’ottica sbagliata anche ciò che è buono.

Spogliarci delle certezze individuali e delle logiche egoistiche per abbracciare il modo di pensare di Gesù, ci fa passare dalla schiavitù delle cose all’amicizia con un Dio e alla fraternità con gli altri.

Con la sua reazione violenta, Gesù tende a purificare il tempio del nostro cuore dal “dovere di sentirci a posto”, facendo determinate cose, anziché lasciarsi amare come figli e amarci come fratelli.

Con Gesù avviene una rivoluzione spirituale e una trasformazione radicale del concetto di tempio e del sacro.

«Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). In queste parole si concentra tutto il mistero e tutta la missione di Cristo. E l’evangelista Giovanni lo spiega con il suo commento «Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,21).

Senza il Corpo di Cristo – presente anche nella Chiesa – non esiste un vero culto e non può esserci una profonda esperienza di fede. L’unico tempio, il vero luogo della presenza salvifica di Dio tra noi, è il corpo di Gesù Cristo incarnato, morto e risorto.

«Quando fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv. 2, 22). Per comprendere Gesù – e anche noi stessi – occorre lasciarci illuminare dalla Pasqua, dal mistero di morte e risurrezione, non andare alla ricerca di segni, come facevano i Giudei, o di una maggiore conoscenza e sapienza umana, come facevano i Greci (cfr 1Cor 1,22).

Solo la croce e risurrezione di Cristo ci rivela un Dio che ci ama fino a condividere la nostra debolezza. Un Dio che, in Gesù Cristo, condivide la nostra morte e la sconfigge per donarci la vita eterna.

Don Momigli

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