Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 28 luglio 2024

Diciassettesima domenica del Tempo Ordinario Anno B (2Re 4,42-44   Sal 144   Ef 4,1-6   Gv 6,1-15)

I «venti pani d’orzo e grano novello» che il servo di Eliseo distribuisce alle cento persone presenti sono un nulla per poterle sfamare, ma tutti «mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore» (2Re 4,42-44). E sono un nulla anche i «cinque pani d’orzo e due pesci» (Gv 6,9) con i quali Gesù sfama la folla.

L’evangelista Giovanni riferisce che Gesù «vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”» (Gv 6,5).

La domanda posta da Gesù è terribilmente attuale e interpella ciascuno di noi, in modo particolare coloro che hanno una piccola o grande responsabilità decisionale sugli altri. Tutti siamo chiamati a vedere e a rispondere, con le proprie possibilità, alle povertà vecchie e nuove della folla del mondo, a partire dalle persone che ci stanno più vicino.

Per l’evangelista Giovanni, l’iniziativa di sfamare la folla viene direttamente da Gesù e la domanda posta a Filippo ha intento pedagogico: «Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere» (Gv 6,6).

Filippo risponde come rispondiamo noi di fronte ai grandi bisogni di oggi, senza cogliere l’intenzionalità profonda della domanda di Gesù: si ferma al piano materiale della monetizzazione del pane da acquistare, rilevando l’assoluta inadeguatezza anche di una cifra significativa: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (Gv 6,7).

In fondo anche Andrea, discepolo che segnala a Gesù la presenza di un ragazzo che ha un po’ di cibo a partire dal quale Gesù sfamerà le folle, si muove nella stessa logica: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6,9)

A questo punto Gesù chiede ai discepoli di far sedere la gente, poi «prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano» (Gv 6,11).

Tutti si mangiano a sazietà e avanza ancora parecchio cibo «dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato» (Gv 6,13).

La folla coglie correttamente il gesto di Gesù come segno che rivela qualcosa della sua identità profonda: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!» (Gv 6,14), ma ne trae conseguenze che Gesù rifiuta: «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo» (Gv 6,15).

L’evangelista Giovanni, dopo il segno delle nozze di Cana e altri miracoli, aveva già annotato che «Molti, vedendo i segni che compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro» (Gv 2,23-24).

Gesù non pone fiducia nella fede di chi crede in lui a partire dai sui prodigi. E tanto meno accondiscende allo stravolgimento di quanto fa e dice, come in questo caso, dove si tenta di trasformare un’azione totalmente gratuita in un do ut des, in cui le persone rinunciano alla loro libertà accordano potere a chi garantisce loro cibo.

Un consenso e un rapporto come questo sono modalità del mondo, ancora oggi fortemente presenti, ma non sono quelle del regno di Dio che Gesù annuncia e rende presente, che è regno di libertà, di giustizia e di pace, perché regno di amore.

Il racconto dell’evangelista Giovanni presenta questo avvenimento guardando all’istituzione della Cena eucaristica: menziona la vicinanza della Pasqua e i gesti di Gesù sono su quelli dell’ultima Cena: prese i pani, rese grazie, li distribuì (cfr Gv 6,11).

La sovrabbondanza di cibo, testimoniata dalla prima lettura e dal vangelo, dimostra che il Signore opera, ma non senza il coraggio della fede e la collaborazione delle persone.

Senza il dono delle primizie portate ad Eliseo e senza la fede di Eliseo le cento persone di cui parla la prima lettura non sarebbero state sfamate. Così come senza il gesto di generosità del ragazzo, che ha rischiato quel che aveva, Gesù non avrebbe potuto moltiplicare, dividendoli, i pani e pesci.

La liturgia di oggi ci fa capire che per far fronte alle tante fami che travagliano l’umanità è necessario il coraggio di condividere quello che abbiamo e siamo. Se tutti condividessimo il poco che abbiamo, si potrebbero superare i drammatici squilibri esistenti, anche perché in Cristo il nostro nulla diventa abbondanza.

Don Momigli

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