Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 25 agosto 2024

Ventunesima domenica Tempo Ordinario Anno B (Gs 24,1-2.15-17.18   Sal 33   Ef 5,21-32   Gv 6,60-69)

In un contesto confuso, anche sul piano religioso, come quello che stiamo vivendo, per poter fare chiarezza è necessario ripartire dai fondamenti, dall’essenziale, anche se oggi non c’è affatto una visione chiara e condivisa su quello che è essenziale. Il cristiano, però, sa che l’essenziale e il fondamento su cui poggiare è Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Confrontarsi con ciò che è fondante obbliga sempre a una scelta, come appare chiaro dalla liturgia di questa domenica. E tutti – personalmente, come famiglia, come comunità cristiana e come comunità cittadina – siamo chiamati a fare scelte importanti, dalle quali dipende non solo la nostra vita e il nostro futuro, ma anche la vita di coloro che verranno dopo di noi.

Le scelte urbanistiche o quelle di architettura sociale ed economica che oggi si compiono – o che non si compiono mentre andrebbero compiute – sono espressione del nostro modo di pensare le relazioni e la città e peseranno sulle generazioni successive. Come noi oggi, nel bene e nel male, siamo obbligati a fare i conti con le scelte di coloro che ci hanno preceduto.

La stessa cosa avviene sul piano religioso. Il nostro modo di essere e di porsi nei confronti di Dio, degli altri e del mondo, non è questione solo privata, ma influisce sull’intero contesto comunitario e sul tipo di fede che comunichiamo e trasmettiamo agli altri e alle generazioni future.

Alle nostre celebrazioni partecipano persone sempre più anziane: i ragazzi appena possono scappano e i giovani vivono come se la Chiesa non esistesse. Questo porta a pensare e a dire che vanno promosse iniziative nuove e che è necessario cambiare linguaggio e metodi comunicativi.

Rinnovare, cambiare linguaggio e metodi di comunicazione è assolutamente necessario, ma è tutt’altro che sufficiente. Basta guardare ai risultati di quelle esperienze dove, per attrarre è stato abbassato il livello della proposta, svuotando di significato esistenziale l’annuncio cristiano.

La buona comunicazione, per la parola di Dio che abbiamo ascoltato, non è quella che porta maggiori adesioni. Per trovare adesioni basta saper trovare le parole che la maggioranza delle persone vogliono sentirsi dire, come spesso avviene in politica per la ricerca del consenso.

Per il libro di Giosuè e per il Vangelo, la buona comunicazione consiste nel mettere ognuno davanti alla necessità di una scelta, anche quando questa scelta è dura, non subito pienamente comprensibile nei suoi dettagli, e può anche allontanare.

Per gli israeliti, che vengono dalla schiavitù egiziana, il momento della scelta è quello dell’entrata nella terra promessa: «sceglietevi oggi chi servire» (Gs 24,15). Il popolo è chiamato da Giosuè a fare una vera e propria professione di fede: scegliere di servire il Signore non significa solo credere in Dio, ma accettare la sua proposta e seguire il cammino da lui indicato.

Seguire Gesù non significa semplicemente continuare a partecipare alla Messa, fare altre devozioni o buone opere, ma confrontarsi con la sua parola. Solo così possiamo capire se siamo generici credenti o di pii devoti, che si rivolgono a Dio ricercando sicurezza e consolazione. O se siamo persone che hanno accolto, o che vogliono accogliere, Cristo e il suo Vangelo, accettando lo scandalo dell’incarnazione e della Croce, con le sane inquietudini che questo comporta.

Mettersi dietro a Gesù non basta. Occorre aver chiaro il perché, per non trovarci come quelli che lo avevano seguito dopo la moltiplicazione dei pani e che poi, ascoltando le sue parole sul pane di vita, lo hanno abbandonato: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60).

Gesù non fa sconti. Né allora né oggi. Una cosa è l’infinita misericordia del Padre per i peccati commessi, altra cosa è l’ambiguità. E Gesù non tollera l’ambiguità.

Per questo, rivolgendosi ai Dodici apostoli, unici rimasti, con chiarezza Gesù dice: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Domanda che risuona in ogni tempo al cuore di coloro che in modo più o meno stanco si dicono cristiani.

Dai preti ai lettori, dai cantori agli operatori della carità fino alla maggioranza anonima e silenziosa che ancora frequenta le chiese, la domanda è chiara: perché mi segui? La religiosità che vivi è quella che vuoi trasmettere ai figli?

Per poter fare la nostra scelta non basta quel che pensiamo di Gesù, ma occorre riandare al fondamento dell’annuncio cristiano e capire cosa lui dice di sé stesso. Allora potremo fare la nostra scelta.

Potremo abbandonare consapevolmente Gesù, come ha fatto la folla, perché le sue parole sono troppo dure. O potremo rispondere, consapevolmente guardando dentro di noi e non a cuore leggero, come ha fatto Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).

Don Momigli

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