Solennità di Cristo Re dell’universo anno B (Dn 7,13-14 Sal 92 Ap 1,5-8 Gv 18,33-37)
Papa Francesco ci invita a vivere il Giubileo del 2025 – che si aprirà ufficialmente con l’apertura della Porta Santa in San Pietro il prossimo 24 dicembre – come “Pellegrini di Speranza”, per costruire un mondo migliore.
Per vivere la speranza in una situazione di forti sconvolgimenti e di costanti delusioni, è necessario tenere i piedi ben piantati a terra, tenendo presente che nel mutare delle situazioni rimane riferimento stabile e affidabile Gesù Cristo. Ma è pure necessario avere un orizzonte che ci porta ad andare sempre oltre, cogliendo la propensione di ciascuno a guardare anche oltre la morte.
Le immagini, che ci vengono presentate dalle letture di questa celebrazione, ci aiutano a comprendere la particolare specificità della figura di Gesù Cristo come Re dell’Universo.
La prima immagine, tratta dall’Apocalisse di san Giovanni e anticipata dal profeta Daniele nella prima lettura, emerge dalle parole «Viene con le nubi» (Ap 1,7; Dn 7,13), che si riferiscono alla venuta gloriosa di Gesù come Signore e fine della storia.
Questa immagine ci fa capire che l’ultima parola sulla nostra esistenza e sul mondo intero, non è la nostra, ma quella del Signore Gesù. Ma ci fa anche capire che la venuta del Signore alla fine dei tempi, come la sua presenza nell’oggi della storia, è avvolta da nubi oscure che, quando manca la luce della fede, rischiano di oscurarne il volto.
Sapere che il Signore c’è, è presente anche nelle situazioni più cupe, ci spinge a non smettere mai di cercare il raggio di luce in mezzo all’oscurità che ci avvolge e che tante volte rende pesante il nostro cuore.
Sapere che il Signore viene con le nubi, ci fa alzare lo sguardo verso l’alto, non per sfuggire la realtà, ma per non rimanere prigionieri delle nostre paure.
Sapere che il Signore viene con le nubi ci mette nella condizione delle sentinelle che sanno vedere la luce «nelle visioni notturne» (Dn 7,13) e ci rende costruttori di futuro in un mondo appiattito sul presente, proprio perché «sognatori che si mantengono aperti alle sorprese dello Spirito Santo», come diceva il cardinale Carlo Maria Martini nelle sue Conversazioni notturne a Gerusalemme.
La seconda immagine è data dal dialogo fra Pilato e Gesù. Un abisso separa questi due uomini. Il procuratore Ponzio Pilato, forte del mandato dell’imperatore e del sostegno delle legioni, e un ebreo, appartenente a un popolo dominato, condotto in catene dalle autorità religiose del suo popolo, per essere giudicato e condannato.
È lampante il potere di uno e la disarmante fragilità dell’altro: dalle decisioni di Pilato dipende la vita di Gesù.
Gesù, tuttavia, non sembra condizionato da questa umana situazione: di fronte a chi può metterlo a morte, non cerca di salvarsi aggiustando le parole, ma dice chiaramente di essere re: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37).
Quest’affermazione, però, arriva dopo aver precedentemente specificato che il suo è un regno particolare, dove si dona la vita per la salvezza degli altri: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36).
La regalità di Cristo si manifesta nell’umiltà, nel dono di sé, nella croce. Contemplare questa realità ci aiuta a fare la verità in noi e ci sostiene nell’andare controcorrente al pensiero comune, per affermare la verità del Vangelo e nel rapporto col potere.
Più o meno, in un modo o nell’altro ciascuno di noi ha una certa forma di potere, di possibilità. Basta pensare che comunque, direttamente e indirettamente, esercitiamo una certa influenza sugli altri, come gli altri la esercitano su di noi.
La questione che si pone, pertanto, non sta nell’avere o non avere potere, giacché ognuno ha la sua piccola parte, ma nel come stiamo dentro i rapporti di potere, nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni amicali e sociali.
Con le sue parole e con tutta la sua vita, donata per amore, Gesù dice che la verità e anche la propria realizzazione, ciascuno può trovarla donando sé stesso e i propri talenti per il bene delle sorelle e dei fratelli.
Ed è possibile donare e donarsi, quando siamo completamente liberi, quando siamo capaci di regnare su noi stessi.