Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 23 giugno 2024

Domenica Dodicesima Tempo Ordinario – Anno B (Gb 38,1.8-11 – Sal 106 (107) – 2 Cor 5,14-17 – Mc 4,35-41)

Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato ci mette davanti ad atteggiamenti che pongono seri interrogativi e fa chiaramente capire che il contrario della fede non è il dubbio, ma la paura.

La paura porta a chiudersi pensando così di difendersi meglio. E genera pure l’illusione di poterci difendere meglio con mezzi più potenti e strumenti più sofisticati. Anche dedicare molta attenzione nella ricerca del successo e del consenso, ad esempio, sono un modo per dire che valiamo e di esorcizzare la paura dell’insignificanza. Ma tutto questo non ha niente a che fare con la fede.

È giunta la sera, dopo una giornata piena e stancante. E Gesù, invece che mandare i suoi a riposare, come parrebbe più sensato, chiede una fatica supplementare, non spiegata: «Passiamo all’altra riva» (Mc 4,35).

Il tratto di navigazione è breve. Gesù si addormenta per la stanchezza. Ma la traversata non è affatto tranquilla: «Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena»

Simbolo della fragile vita personale di ciascuno e di quella dell’intera comunità, pur sballottata dalle acque la barca resiste per l’impegno umile e faticoso dei rematori, che non abbandonano i remi e che si sostengono l’uno l’altro. Ma il persistere della tempesta fa nascere la paura.

Questa traversata così tumultuosa, mentre Gesù dorme, evoca il percorso della vita, dove le immancabili difficoltà e i conflitti più o meno forti, sono rivelatrici dei nostri veri punti di riferimento e di forza, dei nostri sentimenti e delle nostre paure. E rivelano la qualità della nostra fede.

Difficoltà, conflitti e perfino il silenzio di Dio possono contribuire a liberarci dall’idea ottimistica che tutto andrà bene, secondo i nostri criteri di bene, e che noi andiamo bene come siamo, senza bisogno di correzioni e cambiamenti.

Vorremmo sempre avere un cielo sereno e luci chiare a indicare la navigazione e un porto sicuro e vicino. Ma non è così. E spesso non comprendiamo il perché degli ostacoli e delle tempeste che ci sorprendono.

Non sappiamo perché Dio permetta accadimenti che sconvolgono le nostre vite, le nostre prospettive e quelle di una comunità. Personalmente penso che neppure la conoscenza del perché potrebbe aiutarci ad accettare con meno sofferenza certi eventi drammatici che ci colpiscono, come la morte di un figlio.

Come i discepoli, anche noi, quando tutto sembra rivolgersi contro e gli eventi ci sfuggono di mano, arriviamo a toccare momenti di smarrimento, paura, rabbia e delusione: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38).

Quando la vita ci fa toccare anche crudamente il nostro limite, la nostra impotenza, forse quello è il momento in cui siamo più autentici davanti a noi stessi e davanti a Dio.

Non ci vuole un grande senso religioso per domandare al cielo di essere protetti da quello che attenta alla nostra sicurezza e incolumità, per invocare di essere liberati dai diversi mali che ci fanno soffrire.

La fede in Gesù Cristo, però, è ben altra cosa. Si concretizza nello slancio con cui si affronta anche il rischio e il pericolo, sapendo di essere nelle mani di Dio, qualunque cosa capiti.

Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio che stende continuamente una rete di protezione, per preservarci da qualsiasi incidente, ma un Dio che rimane al nostro fianco.

La fede ci fa affrontare le tempeste visibili a partire dall’invisibile: dalla fiducia nel Signore che è più forte delle nostre paure e che sa ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra salvezza.

Se teniamo gli occhi fissi sulla tempesta o su noi stessi e sulle nostre forze, rischiamo di essere presi dalla paura e di affondare.

«C’erano anche altre barche con lui» (Mc 4,36). E tutte si trovano nella tempesta. Non sappiamo cosa succede sulle altre barche, quale sia la reazione dell’equipaggio a quel vento e a quella tempesta che coinvolge tutti.

Sappiamo però quello che avviene sulla barca dove si trova Gesù non riguarda solo quella barca, ma anche le altre che stanno navigando accanto a loro: il vento che cessa e la grande bonaccia è per tutti.

Questo ci richiama a una grande responsabilità: prendere sulla barca della propria vita il Signore Gesù non riguarda solo noi, ma anche quelli che camminano con noi.

Il Gesù che va accolto sulla nostra barca, però, non è quello che noi vorremmo che fosse, ma quello che lui è.

Come i discepoli «lo presero con sé, così com’era, nella barca» (Mc 4,35), dobbiamo anche noi far salire sulla barca della nostra vita Gesù come lui è, senza mai smettere di interrogarci sulla sua identità: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (Mc 4,41).

Don Momigli

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