Festa del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo anno C (Gen 14,18-20 Sal 109 1Cor 11,23-26 Lc 9,11-17)
Dal modo in cui stiamo a tavola si comprende molto di noi e degli altri. Se siamo a nostro agio con i commensali, se siamo presi da qualche preoccupazione, se e come sappiamo godere del cibo e della convivialità. A tavola si possono coltivare relazioni e anche rapporti di intimità. Ma si possono pure manifestare freddezze, insofferenze, chiusure.
Forse per questo motivo nei vangeli sono numerosi i racconti dei banchetti a cui partecipa Gesù e nei quali si manifesta, come alle nozze di Cana di Galilea o quando si scontra con le chiusure di scribi e farisei oppure quando vive momenti di profonda intimità con i suoi, come nell’Ultima cena. Perfino dopo la risurrezione Gesù si manifesta nel momento del cibo, come con i due discepoli di Emmaus o sulla spiaggia nell’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni.
Nel brano del Vangelo di oggi, il cibo è presentato come occasione che fa emergere due visioni contrapposte, espresse dalla logica del “ciascuno per sé” e dalla logica della condivisione.
Gesù è intento a parlare a migliaia di persone in un luogo deserto. Giunta la sera i discepoli si avvicinano al Signore dicendogli: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo» (Lc 9,12). Ma Gesù risponde: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Parole che provocano lo stupore dei discepoli: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (Lc 9,13).
Gesù sa quello che sta per fare e provoca i suoi per farli passare alla logica della condivisione iniziando da quel poco che hanno.
I verbi delle azioni di Gesù utilizzati dall’evangelista sono gli stessi dell’Ultima cena: prese, benedisse, spezzò e diede. In ognuno di essi c’è una dimensione della vita del Signore.
Gesù prende tra le sue mani il bene di questo mondo: prende l’iniziativa, agisce e benedice; fa le parti, spezza perché a ciascuno sia data la porzione adeguata, distribuisce.
In questa solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, il racconto dell’ultima cena, in cui Gesù offre sé stesso come pane e come vino, è contento nel brano della lettera di Paolo ai Corinzi, che la liturgia propone come seconda lettura.
Scrivendo ai cristiani di Corinto, Paolo ricorda che il gesto compiuto da Gesù nella cena pasquale è al cuore della vita del Chiesa e di ogni credente: mangiare il pane e bere il vino eucaristici significa entrare nella comunione con il Signore stesso, partecipare della sua morte e della sua risurrezione in attesa del suo ritorno.
In un contesto fluido come quello attuale, dove la visione della realtà è frammentata e dove il proprio sentire – anche sul piano religioso – è ritenuto l’unico metro di giudizio, l’eucaristia dice a tutti i credenti in Cristo che il centro della realtà è il Signore: è lui il vero punto di riferimento che dà alla realtà il vero significato e che illumina e guida il cammino.
Celebrare la solennità del Corpo e Sangue del Signore, significa ribadire la fede nella presenza reale di Cristo nel pane e nel vino eucaristici, che prima di venire offerti alla nostra adorazione sono offerti come nostro cibo e nostra bevanda.
Adorare il corpo del Signore senza cibarsi di lui tradisce il mandato del Signore e non ci rende testimoni: «Ogni volta, infatti, che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11,26).
L’eucaristia crea e forma la comunità ecclesiale ed allo stesso tempo è espressione della vita della comunità ecclesiale. La presenza alla celebrazione vissuta in modo individualistico, senza cercare alcun tipo di rapporto comunitario e nessun contatto interpersonale, anzi rifuggendolo, tradisce l’essenza stessa dell’eucaristia.
Questa solennità ci richiama all’essenza della nostra fede: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». E ci richiama pure alla verità della Chiesa, di cui l’eucaristia è culmine e fonte.
Vedere e vivere la festa del Corpus Domini come atto devozionale, significa tradirne il senso e ridurre tutto a nostra misura, mentre la misura vera è solo Cristo Signore.