Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 22 dicembre 2024

Quarta domenica di Avvento anno C (Mi 5,1-4   Sal 79   Eb 10,5-10   Lc 1,39-45)

La liturgia di questa quarta ed ultima domenica di Avvento pone l’attenzione sulla figura di Maria, attraverso il dialogo fra lei e la cugina Elisabetta.

Elisabetta e Maria, due donne in attesa di un figlio, ma con molte differenze fra loro. Maria viene da un piccolo paese della Galilea, Elisabetta abita nei pressi di Gerusalemme. Maria, è una giovane promessa sposa di un artigiano di Nazareth, Elisabetta, avanti negli anni, è moglie di un sacerdote del tempio. Entrambe stanno sperimentando che i limiti e gli ostacoli umani non impediscono la novità di Dio.

Elisabetta è già al sesto mese di gravidanza: fra tre mesi nascerà Giovanni, che già nel suo nome rivela che “Dio fa grazia”. Maria ha appena concepito Gesù, attraverso il quale “Dio salva” l’umanità, offrendo pienezza di vita.

Elisabetta e Maria, Giovanni e Gesù nel grembo annunciano che chi incontra il Signore è “benedetto”: salvato da lui e incaricato di portare la buona notizia con la propria vita.

L’evangelista Luca racconta che appena ricevuto il saluto di Maria il bambino che Elisabetta custodiva nel suo grembo sussultò e che Elisabetta si rivolge a Maria con parole di benedizione: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1,42).

Elisabetta non si ferma alla superficie: coglie la presenza del mistero e interpreta gli avvenimenti alla luce dello Spirito Santo, che l’ha appena colmata, come sottolinea l’evangelista. E sempre mossa dallo Spirito, conclude il suo saluto esaltando la fede di Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». (Lc 1,45)

Testimoniare Gesù Cristo è il dono e il compito affidato ad ogni credente. Un dono che può essere accolto e un compito che può essere svolto solo se aperti al mistero.

Se ci relazioniamo con Cristo in modo da poter dire «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), come fa Paolo, allora potremo anche “contagiare” di lui il cuore delle sorelle e dei fratelli che incontriamo.

Se manca in noi la dimensione del mistero e l’apertura nella fede, tutto sarà solo moralismo, tutto si riduce al dovere di fare il bene, mentre il Signore vuole relazionarsi con noi per vivere una comunione di amore: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10,5).

Quello che la Lettera agli Ebrei dice riferito all’atteggiamento Cristo, è stato vissuto da Maria pronunciando il suo sì all’annuncio dell’angelo, ed è la risposta che Dio si aspetta da ogni persona: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).

Per rispondere con la propria vita alla chiamata di Dio è necessaria la fede, altrimenti rischiamo quello che è successo a Zaccaria, marito di Elisabetta e sacerdote, che, appiattito sull’umano, non ha creduto alla promessa dell’angelo ed è rimasto muto fino all’imposizione del nome al figlio.

Senza la dimensione del mistero e senza la fede, si è sordi alla voce di Dio e si diviene incapaci di leggere oltre la superficie degli avvenimenti e di pronunciare parole in grado di toccare il cuore e l’essenza della vita.

Maria ed Elisabetta riconoscono che quel che è avvenuto in loro non è per qualche particolare merito, ma perché tutto è grazia, gratuità, amore.

Credere e dire il proprio sì a Dio, come ha fatto Maria, significa non guardare solo a sé stessi, ma accettare di essere strumenti di una salvezza offerta a tutti.

Chiediamo al Signore la grazia di ripetere con Maria il nostro Sì. Un Sì generoso a Gesù che viene, perché sia sempre il centro della nostra vita, il motivo di vita nuova e di salvezza per tutti.

 

Don Momigli

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