Seconda domenica del Tempo Ordinario anno C (Is 62,1-5 Sal 95 1Cor 12,4-11 Gv 2,1-11)
«Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» (Gv 2,11). Segno è termine chiave dell’intero Vangelo di Giovanni, che non parla mai di miracoli.
Il segno rimanda sempre a qualcos’altro. Usando il termine segno l’evangelista dice che si deve andare oltre l’agire di Gesù, che dentro e oltre i gesti e le parole di Gesù si può scorgere la sua identità e la sua missione e anche l’orizzonte della vita di ciascuno di noi.
«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli» (Gv 2,1). La narrazione dell’evangelista non si limita alla pura cronaca, ma è densa di simboli e di doppi sensi. Dietro un racconto apparentemente semplice c’è un messaggio profondo.
Il banchetto, nella Bibbia, è immagine evocativa della gioia e della novità portate dal Messia (Is 25,6). E l’immagine nuziale, come appare chiaro anche dalla prima lettura, è la metafora più utilizzata per presentare l’incontro di Dio con il suo popolo, per descrivere l’alleanza, l’amore e la fedeltà Dio con il popolo da lui scelto.
L’evangelista insiste sul simbolo del vino. Nella Bibbia il vino è segno di festa e di amore condiviso. Nel contesto del Vangelo di Giovanni è simbolo della vita stessa di Gesù donata per l’umanità e segno di un nuovo rapporto con Dio, reso possibile in Gesù.
In questo contesto, la trasformazione dell’acqua in vino è il segno che un intero sistema religioso è giunto alla fine, come emerge anche dall’insistenza dell’evangelista su un particolare poco verosimile: le pesanti anfore di pietra sono sei, numero imperfetto, e contengono acqua usata per i riti di purificazione degli ebrei. In Gesù e con Gesù il ritualismo esteriore perde ogni pretesa consistenza.
Accanto a Gesù c’è Maria, che non viene chiamata per nome ma presentata come «madre di Gesù» (Gv 2,1). Il Vangelo di Giovanni parla di Maria – senza mai chiamarla per nome – solo due volte: all’inizio e alla fine, alle nozze di Cana e sotto la Croce.
All’evangelista bastano poche parole per esprimere la situazione venutasi a creare per la mancanza di vino e l’intraprendenza discreta della Madre di Gesù, che si prende cura di questa importante mancanza per una festa di nozze, presentando la questione al Figlio: «Non hanno vino» (Gv 2,3).
Una prima considerazione: quando portiamo un bisogno a Gesù dovremmo fare come Maria, senza aggiungere considerazioni tutte umane, come invece facciamo noi nelle nostre preghiere, chiosando con auspici e considerazioni.
Alle parole della madre Gesù risponde con una espressione che sorprende: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Non è ancora giunta la sua ora perché egli è solo all’inizio della sua vita pubblica e l’ora di cui parla è quella della piena consegna di sé stesso: è l’ora della Croce.
Donna – termine con cui Gesù chiama la madre, come farà quando sotto la croce la consegna al discepolo amato: «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19, 26) – è una parola-segno che rinvia a tutto l’universo femminile, a partire dalla prima donna biblica, Eva.
In tutto il vangelo di Giovanni Maria parla soltanto in quest’occasione, unendo le risorse del cielo con quelle della terra: presenta al Figlio un bisogno e invita i servitori a fare quello che il Figlio dirà loro, anche se quello che lui chiede appare insensato, sia perché al maestro di tavola non si porta l’acqua da assaggiare e sia per la pesantezza delle anfore.
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). In questa frase, semplice ed essenziale, c’è tutta la fede di Maria e c’è tutto quello che Maria ha da dire anche a noi oggi: ascoltare il Figlio e fare quello che lui dice è la vita e il programma del cristiano
Ciascuno di noi, singolarmente e come comunità, siamo contemporaneamente bisognosi, viviamo la mancanza di quello che dà senso e sapore alla nostra vita, siamo chiamati aa essere come la madre di Gesù, facendoci intercessori per quello che agli altri manca, e, come i servitori, siamo chiamati a fare quello che Gesù ci dice per cambiare la situazione.
Coerentemente con l’esigenza di osservare la realtà e di fare quello che di dice Gesù, in quest’anno Giubilare, che ci chiede di essere pellegrini di speranza, possiamo concludere con una fase di Sant’Agostino: «La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle».