Trentatreesima domenica Tempo Ordinario Anno B (Dn 12,1-3 Sal 15 Eb 10,11-14.18 Mc 13,24-32)
In questa penultima domenica dell’anno liturgico, siamo invitati a guardare e riflettere sulla fine della storia, per imparare a leggere anche gli avvenimenti più catastrofici alla luce della fede.
La prima lettura ci dice che alla fine del cammino terreno apparirà Michele in un «tempo di angoscia» (Dn 12,1), che sarà preludio alla salvezza: coloro che sono scritti nel libro risorgeranno per la vita eterna.
Dopo aver orientato il nostro sguardo sugli eventi che sconvolgono il mondo, generando grande desolazione, Gesù orienta la nostra attenzione verso il giorno e l’ora in cui tornerà con la sua gloria e la sua vittoria.
Gesù ci fa alzare lo sguardo per scrutare l’orizzonte che ravviva la nostra attesa, che impedisce di fossilizzarci nelle visioni corte e di fissare lo sguardo solo sulle cose che spaventano o fanno soffrire.
Al tempo stesso ci invita a guardare vicinissimo, per imparare a scorgere segni di speranza nelle piccole cose, com’è piccolo un germoglio che preme sul ramo del fico all’inizio dell’estate (Mc 13,28).
Due sguardi apparentemente inconciliabili, ma entrambi necessari. Guardare lontano, alla venuta finale di Gesù, ci rende capaci di vedere «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13,26).
Generalmente alza lo sguardo e guarda lontano chi è in attesa. Per guardare lontano bisogna credere nella promessa del Signore che ha detto che sarebbe tornato, che il male avrebbe avuto fine, che la potenza dell’amore avrebbe vinto.
Dentro un mondo in cui si fa l’esperienza del male, nelle vicende umane e anche in sé stessi, il credente attende un mondo nuovo, diverso, in cui tutto questo non ci sarà più.
Un cuore in attesa è anche capace di cercare gli indizi della presenza desiderata nel presente: non si limita a guardare lontano, ma guarda anche vicinissimo, per cogliere alcuni segni della pienezza che verrà.
Il Signore che irromperà un giorno nella sua gloria sta già venendo nei fatti discreti di bene di cui la vita è disseminata.
Attorno a noi non ci sono solo male e violenza, sfruttamento e morte, ma è già presente, pur in modo umile, il bene che si affaccia, che ci ricorda che l’ultima parola non sarà quella dei giorni della tribolazione, ma quella della pace e della pienezza.
I segni di cui il Signore dissemina il nostro cammino personale e quello dell’umanità sono discreti, si rivelano solo ai cuori che attendono, che sperano, che credono nelle promesse.
Ciascuno di noi è chiamato prima o poi a confrontarsi con l’angoscia, quel sentimento che avvertiamo quando tutto ci sembra finito, quando abbiamo l’impressione che non ci sia più tempo, è lo spazio tolto alla speranza.
L’angoscia ci prende quando non abbiamo più punti di riferimento, ci sentiamo smarriti, non riusciamo più a orientarci. È il tempo, descritto da Gesù, in cui vengono meno il sole, la luna e le stelle: tutti quegli elementi che permettono di regolare e ordinare la vita sulla terra.
Il sole ci permette di capire in quale parte del mondo e in quale momento del giorno ci troviamo. La luna ci consente di riconoscere in quale momento dell’anno siamo: soprattutto per gli antichi, rappresentava un riferimento importante per decidere i momenti adatti per il raccolto. Le stelle erano il punto di riferimento per chi viaggiava nella notte.
Molti degli sconvolgimenti di oggi derivano proprio dalla mancano punti di riferimento certi, che sono venuti meno a causa di quella che papa Benedetto XVI chiamava la “dittatura del relativismo”, che si basa sulla convinzione che per guidare il cammino basta quel che sentiamo e desideriamo.
Oggi si celebra l’ottava Giornata dei Poveri. Oltre a prestare attenzione ai poveri, dobbiamo riconoscere la nostra povertà, anche spirituale, per rivolgersi a Dio certi che «La preghiera dei poveri sale a Dio» (Sir 21,5).
Nel suo messaggio papa Francesco afferma: «Abbiamo bisogno di fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro…la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. C’è una corrispondenza tra povertà, umiltà e fiducia. Il vero povero è l’umile che non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio, davanti al quale sta come il figlio prodigo che torna a casa pentito per ricevere l’abbraccio del padre (cfr Lc 15,11-24). Il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia.
E poi aggiunge: «La preghiera trova nella carità che si fa incontro e vicinanza la verifica della propria autenticità…Tuttavia, la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si esaurisce. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo»
La liturgia di oggi ci fa scoprire la nostra povertà e ci orienta verso il cuore della vita e della storia: Gesù Cristo, che si è fatto povero per la nostra salvezza.