Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 17 marzo 2024

Quinta domenica di Quaresima anno B (Ger 31,31-34   Sal 50   Eb 5,7-9   Gv 12,20-33)

Il futuro positivo di ogni comunità – dalla famiglia alla parrocchia, dalla città all’intera società – come quello di ogni essere umano, è dato dal saper vivere la reciprocità, dal relazionarsi con gli altri non con il desiderio di prevaricazione e di possesso, ma con il desiderio di appartenenza e senso di responsabilità.

La relazione è faticosa, ma è l’unica strada anche per trovare sé stessi.

Tutti siamo responsabili di tutti. Questo comporta la necessità di un’alleanza, che non significa affatto annientamento delle differenze o limitarsi a fare cose insieme. Fare alleanza significa saper vivere le differenze, e anche i conflitti, sulla base di valori chiari e condivisi, come possono essere il valore e la dignità della vita umana e il bene comune.

Parlare di alleanza significa riferirsi a quello che oggi sperimentiamo mancante e che sembra essere la causa prima di ogni deriva. Significa riferirsi alla relazione, alla responsabilità, al senso di appartenenza.

Parlare di alleanza sul piano della fede, significa riferirsi a quel particolare legame che Dio ha voluto stringere con l’umanità intera per mezzo di Israele e, nella pienezza dei tempi, per mezzo del Figlio, Gesù Cristo.

Geremia, nella prima lettura, ci parla proprio dell’alleanza che Dio, nel suo incrollabile amore, rinnova in modo più profondo, nonostante sia stata più volte infranta dal popolo: «porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» ( Ger 31,33).

Ed è proprio l’amore fedele di Dio che porta Gesù, il «Verbo che si è fatto carne» (Gv 1,14), fino alla croce.

Come narra il brano del vangelo di oggi, tra la folla plurale e variegata venuta a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, ci sono anche alcuni Greci convertiti al monoteismo di Israele. Alcuni di loro si avvicinano a Filippo e gli esprimono il loro desiderio di vedere Gesù.

Vedere, nella mentalità classica, è come dire conoscere, perché è considerata un’attività legata al pensiero e alla conoscenza. Così come per un semita ascoltare è lo stesso di conoscere. Mentre un semita è invitato ad ascoltare – basta pensare alla grande preghiera dello Shemà Israel («Ascolta Israele» – Dt 6) – chi è impregnato di pensiero greco affida gran parte della sua capacità conoscitiva della realtà agli occhi, all’immagine che essi imprimono nella mente.

Il desiderio di questi Greci che si rivolgono a Filippo, pertanto, non è semplicemente quello di essere presentati a Gesù o, come accadrebbe oggi, il desiderio di fare un selfi con Gesù, ma va inteso in senso profondamente esistenziale.

La reazione di Gesù alla richiesta dei greci, presentatagli da Filippo e Andrea, sembra ignorare la domanda, ma in realtà le parole che pronuncia sono una risposta precisa: chi mi vuole davvero conoscere deve guardare la croce dove si rivela la mia gloria.

L’ora di cui Gesù parla alle nozze di Cana e annunciata vicina nel dialogo con la donna di Samaria, adesso è giunta: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12,23).

L’ora di Gesù è quella della sua passione e morte e, nello stesso tempo, è della sua glorificazione: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12,27-28).

L’atteggiamento di Gesù vince la logica del “principe di questo mondo” che si regge sulla autoaffermazione e sul successo umano a discapito di tutti e di tutto.

La vita, compresi gli aspetti critici e negativi e persino la morte, trova senso nell’amore, nell’essere generativi: «se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto, ma se muore diventa fecondo». Come per il chicco di grano, non è la morte a rendere sterili e impotenti, ma una vita senza amore, che si rivela una vita vuota, inutile.

Ai Greci e a tutti coloro che vogliono davvero conoscerlo, ieri come oggi, Gesù dice di guardare alla croce, al suo dono totale, fino alla morte.

A coloro che credono in lui e vogliono seguirlo, dice che la via è quella dell’amore e del morire, che comporta il non tenere la vita centrata su sé stessi, perché il segreto della vita sta nell’appassionarsi senza trattenere, nell’affezionarsi senza possedere, nell’impegnarsi senza niente ritenere nostro.

Don Momigli

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