Solennità della SS Trinità anno C (Pr 8,22-31 Sal 8 Rm 5,1-5 Gv 16,12-15)
La solennità che oggi celebriamo ci ricorda chi è il Dio in cui credono i cristiani. Non è cosa sempre chiara e scontata. Basta pensare che il Dio a cui generalmente si fa riferimento nelle conversazioni non sembra affatto il Dio della Bibbia, che si è rivelato parlando «agli uomini come ad amici» (Dei verbun, 2).
Dio ha rivelato la sua identità e ci ha convocati non attorno a un concetto o a un ideale etico, ma ha manifestato il suo volto in Gesù Cristo. Nel Figlio fatto uomo, Dio ha svelato il suo progetto di amore: raggiungere ogni persona di ogni tempo e di ogni luogo, per offrirgli misericordia e grazia e rigenerarla a un’esistenza nuova.
Il Dio Trinità è un Dio che insieme si rivela e si nasconde. Un Dio che si propone come Padre che ama, come Figlio fatto uomo, come Spirito presente in ogni persona e nel creato. Un Dio che non impone la sua presenza.
Parlare di Dio Trinità significa fare i conti col mistero: mistero da contemplare, mistero che si rivela, mistero da vivere.
Mistero è la realtà profonda di ciascuno di noi. Ogni persona si può conoscere nella misura in cui si rivela, ma rimane comunque un velo di mistero. A maggior ragione parliamo del mistero di Dio, anche se parla e si rivela.
La fede è un cammino che coinvolge la vita in tutte le sue dimensioni e che si conclude soltanto nel definitivo incontro con Dio, al di là della morte, dove ci relazioneremo con lui «faccia a faccia, in un dialogo senza fine, nell’intimità di cui mai saremo stanchi» (Francesco, Via Crucis 2025, VI Stazione La Veronica asciuga il volto di Gesù).
Nelle nostre realtà il distacco dalla fede, intesa come pieno coinvolgimento personale e orientamento esistenziale, è progressivo, diffuso e coinvolge anche persone che, nella chiesa, hanno vissuto esperienze positive.
Uno dei motivi va ricercato nel non aver messo a fuoco, o nell’aver smarrito, proprio il mistero del Dio Trinità. Un Dio generico, a cui generalmente ci si riferisce, non ha nulla da dire. La fede, pertanto, è ritenuta insignificante per la vita.
Celebrare la Trinità ci porta a guardare il nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Con il Battesimo, lo Spirito Santo ci ha inseriti nel cuore e nella vita stessa di Dio, che è comunione di amore: siamo resi figli nel Figlio. Potremmo dire che Dio è una “famiglia” di tre Persone che si amano così tanto da formare una sola cosa.
Il nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio-comunione ci dice che siamo esseri-in-relazione, chiamati a vivere i rapporti interpersonali nella continua interazione e nell’amore vicendevole.
Come credenti, le nostre relazioni si giocano, anzitutto, nell’ambito delle nostre comunità ecclesiali, per rendere sempre più evidente che la Chiesa è figura della Trinità e perché solo amandoci gli uni gli altri diamo vera testimonianza del nostro essere discepoli di Gesù Cristo: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Le relazioni si giocano pure in ogni ambito, dalla famiglia ai rapporti sociali, dalle amicizie ai rapporti di lavoro. Tutte sono occasioni concrete che ci vengono offerte per costruire relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di rispetto reciproco e di amore disinteressato.
L’orizzonte trinitario di comunione ci avvolge tutti e ci stimola a vivere nell’amore e nella condivisione fraterna, certi che là dove c’è amore, c’è Dio.
«La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,15). Queste parole dell’apostolo Paolo, ascoltate nella seconda lettura, sono riprese da papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo, invitando tutti a ritrovare il fondamento e la direzione del nostro essere nel mondo e per abitare questo mondo con la speranza della fede.
Credere in Dio Trinità da uno speciale orizzonte alla vita. E la fede in questo Dio è significante e significativa nella e per la vita.