Domenica delle Palme anno C (Is 50,4-7 Sal 21 Fil 2,6-11 Lc 22,14-23,56)
Nella domenica delle Palme l’attenzione si concentra su Gesù e sulla sua passione dolorosa.
I primi scritto che trasmettono la fede cristiana, tra i quali l’inno della Lettera ai Filippesi che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, testimoniano ancora lo stupore per l’umiliazione che Gesù Cristo volle affrontare lasciando un esempio altissimo di donazione per gli altri.
Gesù incontra il mistero del male, in tutta la sua intensità. Nel momento della cena, da lui tanto desiderata, conosce il tradimento e l’incomprensione dei suoi amici. Nell’orto degli ulivi vive l’angoscia di sentire la sua volontà lontana da quella del Padre, mentre chi avrebbe dovuto sostenerlo cede alla tristezza e al sonno.
Viene consegnato con un bacio da uno dei suoi discepoli, rinnegato da un altro per tre volte, deriso da coloro che lo avevano in custodia, accusato dai capi religiosi, abbandonato alla sua sorte da Pilato, trascinato sul luogo chiamato Cranio e crocifisso.
Il mistero del male sembra davvero giocare tutte le sue carte, mostrarsi in tutte le sue sfumature più dolorose, ma Gesù non è affatto in balia degli eventi.
La passione non è frutto di un complotto politico o religioso, ma rappresenta lo scontro finale tra Gesù e il potere del male: «questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
Proprio all’inizio della passione troviamo la figura di Giuda e accanto a lui quella di satana (Lc 22,3), che richiama l’inizio della missione e le tentazioni di Gesù nel deserto: «Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13).
Luca narra gli eventi con l’occhio del discepolo che rivive in modo profondo la passione del Maestro. Per Luca, la passione è come un appello rivolto a ogni discepolo, perché prenda il coraggio e si metta in cammino dietro la croce del suo Signore.
Nella scena della crocifissione, Luca presenta Gesù come modello di perdono delle offese: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). La croce diviene anche il segno del perdono divino concesso a chiunque si affida a Gesù, come emerge dalla scena del cosiddetto “buon ladrone”, che nella vita era un brigante e un assassino: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).
Per l’evangelista Luca, Gesù è “il prototipo del Giusto”: ai piedi della croce il centurione riconoscerà: «Veramente quest’uomo era giusto» (Lc 23,47).
Ed è anche presentato come l’uomo della compassione. Le sue ultime parole, riprese da un salmo, manifestano una totale fiducia nel Padre. Egli è il “martire” che testimonia con la sofferenza e con la morte la sua fedeltà assoluta a Dio: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò» (Lc 23,46).
Nell’ora della sua fine Gesù ci mostra, con il suo ultimo respiro, quello che conta davvero e che rimane, ciò che solo può essere inizio di qualcosa di nuovo.
Solo il perdono e un’intercessione pagati a caro prezzo, come quelli di Gesù sulla croce, sono fonte di vera salvezza. Solo l’apertura verso l’altro e la fiducia nel suo desiderio di bene, ci conducono in paradiso. Solo la consegna al Padre della propria vita e della propria morte può essere alba di una realtà nuova.