Ascensione al cielo di Nostro Signore Gesù Cristo anno B (At 1,1-11 Sal 46 Ef 4,1-13 Mc 16,15-20)
L’evangelista Marco, scrivendo due atteggiamenti apparentemente contraddittori, ci dice che la fine della presenza visibile del Signore risorto coincide con l’inizio della sua presenza universale.
Quella del Risorto è una presenza nuova, misteriosa, percepita sempre e dovunque nella fede e nell’amore: «Il Signore Gesù …fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,19-20).
Potremmo anche dire che l’Ascensione di Gesù segna il mistero di una nuova incarnazione: d’ora in poi si rende visibile nel e attraverso il suo corpo, la Chiesa, che opera lungo i secoli.
Con l’Ascensione inizia l’avventura della Chiesa, alla quale, prima che lo Spirito, viene consegnata una responsabilità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
L’Ascensione ha una valenza teologica profonda, espressa dall’apostolo Paolo con i verbi discendere e ascendere: «cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose» ((Ef 4, 9-10).
Nell’azione di discendere e in quella di ascendere, Paolo esprime il dinamismo spirituale con cui Dio traccia il cammino salvifico di ogni persona: come Cristo, ciascuno è chiamato a discendere, ad incarnarsi, ad accettare la condizione della propria umanità. Cosa che non è affatto scontata.
Come insegna il capitolo tre della Genesi, nell’essere umano c’è una tentazione che alimenta costantemente il suo desiderio di voler essere dio, senza Dio. Addirittura contro Dio.
Nel tentativo di essere quello che non sono, la donna e l’uomo hanno difficoltà ad accettare quello che sono: esseri umani; essere finiti che aspirano all’infinito.
L’incarnazione e la Pasqua, di cui l’Ascensione mette in luce un aspetto, ci dicono che la via per ascendere, per partecipare alla stessa vita di Dio, è quella di accettare e vivere la propria umanità, con tutto ciò che essa comporta: fragilità, limitatezza e finitudine.
L’avvenimento Gesù Cristo rivela ad ogni persona umana la radice, il principio, il senso e il fine divino della sua esistenza; rivela che l’io è relazionale, come è relazionale la vita trinitaria del Verbo.
I cristiani non sono “volontari del vangelo”, ma persone chiamate e inviate dal Signore Gesù a testimoniare la Parola che illumina la vita e che salva; testimoni dell’esperienza d’amore che cercano di vivere, sapendo che Gesù è vivo e presente.
Essere discepoli non significa cercare rifugio presso Dio, sperando di poter evitare le durezze dal vivere. Il discepolo assume l’umanità con tutte le sue contraddizioni e vi semina la parola di vita che è Cristo Signore.
Una parola che illumina e sostiene una continua umanizzazione del mondo, che spinge ad operare nei diversi ambiti in cui il Signore ci chiama, che domanda responsabilità verso gli altri e di far uso delle cose e degli strumenti del mondo con la sapienza del cuore.
Fra questi strumenti ci sono i mezzi di comunicazione: il modo con cui se ne servono gli operatori del settore e il modo con cui ne fruiamo e li usiamo come utenti.
Per la LVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che oggi celebriamo, Papa Francesco ha messo a tema una delle più grosse sfide che abbiamo davanti, quella dell’intelligenza artificiale. E lo fa con un messaggio dal titolo significativo: Intelligenza artificiale e sapienza del cuore.
«La sapienza del cuore – dice il Papa – è quella virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi… A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo… Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza».
Per essere testimoni di Gesù Cristo e per annunciare il suo vangelo bisogna essere persone capaci di assumere la propria umanità, di superare i vari recinti, di collaborare con gli altri. Così facendo partecipiamo al dinamismo di incarnazione e ascensione di Cristo, vivendo anche le sfide più difficili con la sapienza del cuore che viene dall’incontro con Cristo, dal nutrirsi di lui e della sua parola.